Termine

Disciplina

Specie

Utenti
12214
Schede
512

Ossigenoterapia

  • Disciplina: Medicina d'urgenza
  • Specie: Cane e Gatto

L’ipossia è la riduzione del contenuto totale di ossigeno (CaO2) nel sangue arterioso. Può essere causata da:

  • ipoventilazione
  • squilibri di ventilazione-perfusione
  • deficit della diffusione
  • shunt cardiaci
  • shunt intrapolmonari
  • diminuzione della frazione di ossigeno inspirato (FiO2).

I processi morbosi che interessano il parenchima polmonare, l’attività neuromuscolare, la cavità pleurica, la parete toracica ed alcune patologie cardiache, possono causare i deficit sopra elencati. Il CaO2 è la misurazione di tutto l’ossigeno presente nel sangue, si calcola sommando la componente derivante dal gradiente pressorio e la componente legata all’emoglobina, come indicato nella formula:

CaO2= (1,3 x  Hb x SaO2) + (0,003 x paO2)                                                      (1)

Legenda: Hb= emoglobina (g/dl), SaO2= saturazione dell’emoglobina nel sangue arterioso (n/100), paO2 (mmHg)

La formula n.1 evidenzia quanto il CaO2 sia influenzato dal contenuto di emoglobina rispetto alla quantità di ossigeno presente nel sangue per gradiente pressorio; di fatto la quantità di ossigeno legata all’emoglobina è circa 40 volte maggiore rispetto alla quantità di ossigeno disciolto nel sangue (paO2). Nei pazienti con ipossia è bene controllare e ripristinare il più precocemente possibile la quantità di emoglobina, poiché la riduzione del CaO2, che causa anche una riduzione della disponibilità di ossigeno (DO2), aumenta il rischio di shock e mortalità nei pazienti critici.1,2 Se ad esempio in un paziente ipossico si riscontra una riduzione dell’emoglobina del 50% (ad es. da emorragia) il CaO2 risulterà di circa 9 ml/dl, quando in un paziente normale è di circa 19-21 ml/dl; se a tale paziente si somministra ossigeno al 100% per via nasale il CaO2 risulterà di 9,8, se invece si effettua una trasfusione con 20 ml/kg di sangue, anche senza  somministrare ossigeno, il  CaO2 incrementerà fino a circa 13 ml/dl. Una grave riduzione del CaO2 può  indurre la cellula a sviluppare un metabolismo anaerobico e formazione di acido lattico in eccesso. La ridotta produzione di energia conseguente all’anaerobiosi (da 1 mole di glucosio si ottengono solo 2 moli di ATP invece di 36) (Fig. 1) se grave e protratta nel tempo può causare un’acidosi metabolica scompensata e morte cellulare.

Fig. 1. Produzione di ATP nel metabolismo aerobico e anaerobico.

L’ipossia può essere particolarmente grave e deve essere sempre sospettata nelle seguenti patologie:

  • SIRS (sindrome della risposta infiammatoria sistemica), sepsi, sepsi grave, shock settico
  • anemia
  • insufficienza cardiaca anterograda e retrograda
  • trauma cranico
  • acidosi metabolica
  • alcalosi metabolica
  • alcalosi o acidosi respiratorie.

L’ossigenoterapia è efficace quando si riscontra una ridotta ossigenazione (quantificata misurando la paO2), mentre quando il distress respiratorio è conseguente ad un deficit di ventilazione (aumento della paCO2) l’ossigenoterapia è scarsamente efficace. E’ necessario però ricordare che il deficit di ventilazione può causare anche ipossia, in questi casi l’ossigenoterapia può fare la differenza tra la vita e la morte. Considerato che non è possibile conoscere quali sono i pazienti con deficit della ventilazione incompatibile con la vita che possono sopravvivere grazie all’ossigenoterapia, è bene somministrare ossigeno anche in corso di distress respiratorio di origine ventilatoria fino a quando il processo morboso in atto non è stato risolto (ad es. pneumotorace). L’ossigenoterapia incrementando la FiO2 (frazione di ossigeno inspirato che in aria ambiente è pari al 21%), aumenta la pressione parziale dell’ossigeno a livello alveolare e la diffusione dell’ossigeno dagli alveoli ai capillari polmonari.

DIAGNOSI DI IPOSSIA
Per poter diagnosticare un’ipossia è necessario eseguire un’emogasanalisi e possibilmente arteriosa, in sua assenza anche la valutazione della saturazione dell’emoglobina può fornire indicazioni circa lo stato di ossigenazione (Tab. 1). Osservando infatti la curva di dissociazione dell’emoglobina è possibile avere un’indicazione della paO2 (Fig. 2).

Ossigenazione SaO2 %

PaO2 mmHg

Normale 95-100 >97
Ipossiemia < 95 < 90
Ipossiemia moderata 90-95 60-80
Ipossiemia grave 75-90 40-60
Ipossiemia incompatibile con la vita < 75 < 40

Tab. 1. Ossigenazione e saturimetria

Fig. 2. Curva di dissociazione dell’emoglobina.

Legenda: % SaO2: percentuale di saturazione dell’emoglobina, PaO2: pressione parziale arteriosa di ossigeno, T°: temperatura corporea, paCO2: pressione parziale arteriosa di anidride carbonica, 2-3DPG: 2-3 difosfoglicerato.


Per diagnosticare se un distress respiratorio è dovuto ad un deficit della ventilazione è necessario quantificare la paCO2 (pressione parziale di anidride carbonica arteriosa). La paCO2 può essere misurata con un’emogasanalisi arteriosa oppure valutando la CO2 di fine espirazione (TCO2) con un capnografo. I capnografi tipo “microstream”, dotati di sonda nasale, possono essere utilizzati anche nei pazienti coscienti in quanto non richiedono l’intubazione orotracheale. I deficit della ventilazione possono essere causati da:

  • malattie dello spazio pleurico
  • ostruzione delle basse vie aeree
  • ipoventilazione
  • malattie neuromuscolari
  • aumento dello spazio morto alveolare.

OSSIGENOTERAPIA
L’ossigenoterapia deve essere effettuata in tutti i pazienti in cui si rileva una paO2 pari o inferiore a 60-70 mmHg o una saturimetria inferiore al 95%. La somministrazione dell’ossigeno può essere effettuata con diverse metodiche, in alcuni pazienti può essere necessario effettuare una sedazione con benzodiazepine ed oppiacei. Se il paziente non collabora è preferibile ricorrere alla sedazione piuttosto che non effettuare una procedura salvavita come l’ossigenoterapia. I farmaci più comunemente utilizzati sono il butorfanolo  0,1-0,2 mg/kg IM, EV oppure il diazepam 0,1-0,2 mg/kg EV associato ad un oppiaceo come la morfina o il metadone 0,1-0,2 mg/kg EV. Nel gatto affetto da ipossia particolarmente reattivo e non trattabile, è preferibile utilizzare la gabbia a ossigeno, e solo dopo la sua stabilizzazione è bene procedere alle successive indagini o procedure. Di seguito sono illustrate le differenti procedure per effettuare la somministrazione dell’ossigeno.

Flusso diretto (flow-by: tubo in prossimità delle narici)
E’ una tecnica di facile esecuzione, non invasiva, attuabile anche quando si effettuano altre procedure, è considerata di prima scelta durante la valutazione e la stabilizzazione del paziente. Per poterla effettuare è necessario collegare un tubo per ossigenoterapia ad una fonte di ossigeno con possibilità di erogare ad alti volumi (ad es. bombola di ossigeno o circuito per ossigenoterapia); non è consigliabile utilizzare il circuito di anestesia in quanto può contenere residui dei gas anestetici irritanti le vie aeree, in tali casi la somministrazione dell’ossigeno può riuscire particolarmente difficoltosa perché il paziente rifiuta il trattamento in quanto il gas è irritante e di cattivo odore. Il volume di ossigeno da erogare è in funzione della taglia del paziente, la somministrazione di 2-5 L/min è sufficiente per ottenere una FiO2 di circa 30 - 48%.3 Flussi elevati consentono di avere una insufflazione di ossigeno anche durante la fase espiratoria, mantenendo così aperti gli alveoli durante tutte le fasi della ventilazione. Il flusso deve essere diretto in prossimità delle narici (Fig. 3), un flusso elevato verso la cavità orale può produrre dilatazione gastrica. La tecnica è molto semplice ma richiede la costante presenza di un operatore e l’utilizzo di notevoli quantità di ossigeno, è solitamente utilizzata nelle fasi iniziali e sostituita successivamente con tecniche più efficaci e meno dispendiose.

Catetere endonasale e nasofaringeo
E’ una tecnica che permette di ottenere una FiO2 di circa il 40% senza perdite di ossigeno,  é indicata sia per le terapie a lungo termine (ore o giorni) che per quelle a breve termine; è di facile applicazione e ben tollerata dalla maggioranza dei pazienti, può richiedere una sedazione e solo raramente l’induzione anestetica. La metodica permette di effettuare manipolazioni o procedure sul paziente senza interrompere l’ossigenoterapia. Possono essere utilizzati cateteri in polivinilcloruro trasparenti o in poliuretano. I cateteri devono essere di piccole dimensioni: 4-8 French. Prima dell'applicazione il catetere deve essere premisurato ponendo l’estremità distale arrotondata in prossimità del canto nasale dell’occhio e l’estremità prossimale in corrispondenza della cartilagine alare del naso. In corrispondenza dell’estremità prossimale è necessario apporre un segno con un pennarello indelebile o meglio un cerotto a nastro, il cerotto servirà successivamente ad ancorare il catetere. Prima di inserire il catetere è bene instillare 2-3 gocce di lidocaina al 2% nella narice, quindi si pone del gel lubrificante sull’estremità distale del catetere. Il catetere deve essere inserito ventralmente e medialmente fino alla lunghezza premisurata, quindi si ancora alla cute in prossimità della giunzione naso-cutanea a lato della cartilagine alare con 1-2 punti nodosi staccati, deve essere utilizzato un filo montato non riassorbibile 3-0 (Fig. 4).

La restante parte del catetere si ancora alla cute con punti nodosi staccati sul lato della testa o in corrispondenza della ossa frontali così che il tubo non rientri nel campo visivo del paziente, infine si pone un ultimo punto di sutura nella regione nucale. In condizioni di emergenza, il catetere può essere ancorato temporaneamente anche con una suturatrice meccanica per suture cutanee (35R). Per posizionare un catetere nasofaringeo è necessario far procedere il catetere come per la procedura sopra illustrata fino al punto premisurato che in questo caso va dalla punta del naso alla branca della mandibola. Per entrambe le modalità il flusso di ossigeno deve essere somministrato alla velocità di 50/150 ml/kg/min, ottenendo rispettivamente una FiO2del 30-70%. La somministrazione endonasale dell’ossigeno può avvenire anche utilizzando cateteri trasparenti per ossigenoterapia ad uso umano pediatrico, conosciuti come “naselli” (Fig. 5) in quanto sono provvisti di due estremità brevi da inserire nella cavità nasale. Quando si utilizza quest’ultimo dispositivo per periodi prolungati è meglio ancorarlo alla cute con alcuni punti di sutura come per il tubo sopra indicato. L’ossigeno deve essere umidificato al fine di evitare disidratazioni delle vie aeree.

Catetere transtracheale
Il catetere transtracheale permette di superare le ostruzioni meccaniche o funzionali (ad es. paralisi laringea) delle prime vie aeree, può essere utilizzato anche nei pazienti che non tollerano il catetere nasale o hanno una conformazione facciale (ad es. brachicefali) che ne rende l’applicazione difficoltosa o impossibile. E’ meno irritante del catetere nasale ma è più invasivo, più difficoltoso da posizionare, necessita di un trattamento analgesico  e un’induzione anestetica per la sua applicazione. Si utilizza un catetere flessibile, più lungo dei precedenti e di diametro più grande. Con questa metodica è possibile ottenere una FiO2 del 100% ed una insufflazione a pressione positiva durante tutte le fasi della respirazione. Il punto d’inserzione del catetere deve essere scelto tra il primo e il quinto anello tracheale, l’area cutanea deve essere preparata come si prepara un campo operatorio, quindi si esegue un’anestesia locale con lidocaina al 2% (1-2 ml). Il catetere può essere inserito con 2 metodiche: la prima prevede l’utilizzo di un ago di grandi dimensioni che viene inserito tra gli anelli tracheali ed attraverso il quale si fa scorrere il catetere fino al punto premisurato (ingresso del torace), la seconda metodica si avvale dell’utilizzo di una pinza emostatica curva che deve essere inserita attraverso gli anelli tracheali previa una piccola incisione cutanea effettuata con una lama del bisturi. Inserita la pinza si deve far scorrere il catetere attraverso la breccia così realizzata. Il catetere deve essere assicurato alla cute con più suture a punti nodosi staccati, la prima in corrispondenza dell’inserzione, una lateralmente al collo ed un’ultima dorsalmente al collo. Il catetere deve arrivare ad alcuni centimetri cranialmente alla biforcazione dello sterno, il flusso deve essere di 50-150 ml/kg/min. Flussi di 50 ml/kg/min permettono di ottenere FiO2 del 40-60%.5 Lo spostamento del catetere può provocare enfisema sottocutaneo, è necessario controllare costantemente il sito di infissione del catetere per verificare che non si realizzino flessioni del tubo nel sito di inserzione nel collo o infezioni locali. 

Collare elisabettiano a ossigeno (collare di Crowe)
Il collare elisabettiano provvisto di una fonte di ossigeno è utilizzato provvisoriamente nei soggetti che non tollerano l’applicazione del catetere endonasale (ad es. perché mordaci) in attesa dell’applicazione di un altro dispositivo efficace e meno dispendioso di ossigeno. Applicato il collare, i ¾ della sua porzione anteriore sono chiusi da una pellicola di plastica trasparente, la quale ostacola la diffusione dell’ossigeno nell’aria ambiente. All’interno del collare, nella sua parte ventrale, si fissa con del cerotto l’estremità del tubo che eroga l’ossigeno. Il flusso dell’ossigeno deve essere di 100-200 ml/kg/min per ottenere una FiO2 di circa 40%. Per mantenere il collare in posizione corretta (apertura verso l’alto, tubo erogatore verso il basso) si deve applicare un piccolo peso sulla faccia ventrale esterna del collare stesso. Quando applicato ai pazienti di taglia piccola con frequenze respiratorie elevate è possibile riscontrare un accumulo di vapore acqueo, anidride carbonica ed incrementi della temperatura corporea. 

Gabbia a ossigeno
La gabbia aossigeno, oltre a controllare la FiO2, deve assicurare il controllo della temperatura e dell’umidità costanti. La metodica presenta alcuni svantaggi: non permette il contatto con il paziente e l’apertura della gabbia provoca la rapida caduta della FiO2 che deve essere ripristinata con alti flussi di ossigeno. La gabbia a ossigeno è molto utile per i pazienti che non tollerano i cateteri endonasali e soprattutto nei gatti con distress respiratorio acuto (ad es. asma felina). E’ considerata di prima scelta in emergenza fino a quando non è possibile utilizzare un catetere endonasale ed è necessario controllare la temperatura e l’umidità ambientale. Per mantenere una FiO2 del 40% sono necessari dai 5 ai 15 L/min a seconda della dimensione della gabbia.

TOSSICITÀ DELL'OSSIGENOTERAPIA
La somministrazione di ossigeno con FiO2 del 60% per periodi maggiori di 48 ore o con una FiO2 del 100% per 24 o più ore può causare lesioni polmonari (tossicità polmonare da ossigeno). La tossicità è dovuta alla formazione di radicali liberi dell’ossigeno citotossici che possono produrre disfunzioni polmonari gravi. La tossicità si manifesta con una progressiva diminuzione della compliance polmonare che può essere prodotta da una fibrosi polmonare irreversibile, associata allo sviluppo di edema emorragico interstiziale e intralveolare. Il meccanismo degli effetti tossici non è conosciuto, si ipotizza che l’ossigeno agisca direttamente sul tessuto polmonare. La presunta patogenesi biochimica riconosce nell’azione dei radicali liberi dell’ossigeno il danno prodotto a livello del tessuto polmonare. Gli antiossidanti protettivi normalmente presenti nei fluidi che rivestono il tratto respiratorio (mucina, proteine, acido urico, acido ascorbico, glutatione reduttasi e superossido dismutasi) sono consumati da una eccessiva azione ossidativa. Altri fattori indiretti possibili sono l’aumento dell’attività simpatica, la riduzione dell’attività del surfattante, collasso e atelettasia del parenchima polmonare. La tossicità è tanto più grave quanto maggiore è la FiO2, la durata del trattamento e la sensibilità individuale. Clinicamente la tossicità da ossigeno è difficile da diagnosticare, i sintomi possono essere simili a quelli della Sindrome da stress respiratorio acuto (ARDS = Acute Respiratory Distress Syndrome). Quando il paziente non manifesta miglioramenti malgrado l’ossigenoterapia (paO2≤ 60 mmHg), è bene considerare la ventilazione a pressione positiva per non incorrere in fenomeni da tossicità correlati all’ossigenoterapia difficilmente trattabili.


Bibliografia

  1. Yu M, Burchell S, Hasaniya NW, Takanishi DM, Myers SA, Takiguchi SARelationship of mortality to increasing oxygen delivery in patients > or = 50 years of age: a prospective, randomized trial.Crit Care Med. 1998 Jun;26(6):1011-9.
  2. Boyd O, Grounds RM, Bennett ED. A randomised clinical trial of the effect of deliberate perioperative increase of oxygen delivery on mortality in high‐risk surgical patients. JAMA 1993; 270: 2699–707
  3. Loukopoulus P, ReynoldsW: Comparative evaluation of oxygentherapy technicques in anhestetized dogs: face masknad flow by technique, Aust Vet Practit 27:34-39,1997
  4. Viganò F. in: Medicina d’urgenza e terapia intensive del cane e del gatto. Milano: Masson; 2005, pp 65-68.
  5. Mann FA, Wagner-Mann C, Allert JA, Smith J: Comparison of intrana- sal and intratracheal oxygen administration in healthy awake dogs, Am J Vet Res 53:856, 1992.



SCIVAC

Novità editoriali

Eventi

Sponsorizzato da Advantix e Seresto
0
Shares

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...

0
Shares