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Oppioidi

  • Disciplina: Anestesiologia
  • Specie: Cane e Gatto

L’oppio è il prodotto della condensazione del succo lattiginoso fornito dalle capsule del Papaver somniferum (Figg. 1a e 1b). Gli oppiacei sono sostanze le cui proprietà analgesiche sono note da lungo tempo. Il primo indiscusso riferimento all’oppio è stato trovato negli scritti di Teofrasto (Fig. 2) nel terzo secolo a.C. che denominava l'oppio meconion (µὴκωνίὸν), perché annerendo all'aria assumeva l'aspetto del contenuto intestinale dei neonati. Scribonio Largo, 40 anni dopo Cristo, indicò il modo attraverso il quale ricavare l’oppio facendo notare che si estraeva dalle capsule del papavero e non dalle foglie. Anche i medici arabi conoscevano bene i possibili usi dell’oppio e, grazie ai viaggiatori, questo venne diffuso in tutto in Occidente e Oriente per essere utilizzato soprattutto nel controllo della dissenteria.

L’oppio contiene più di 20 alcaloidi. Il primo ad essere isolato da Sertürner nel 1806 fu denominato “morfina”, da Morfeo, il dio greco del sonno; in poco tempo furono estratti anche gli altri alcaloidi. A partire dalla metà del diciannovesimo secolo tutto il mondo medico iniziò ad utilizzare i singoli alcaloidi al posto delle vecchie preparazioni a base di oppio puro.

Per cercare di ridurre gli effetti collaterali (nausea, vomito, stipsi, depressione respiratoria, morte), si sintetizzarono derivati e analoghi dell’oppio. Purtroppo, ciò significò introdurre nell’uso clinico, almeno nei primi tentativi, farmaci più sicuri, ma meno efficaci dei classici oppioidi. Successivamente la ricerca permise di sintetizzare antagonisti degli oppioidi ed anche composti dotati di attività mista, cioè sia agonista che antagonista. Ciò amplificò molto la flessibilità dell’impiego terapeutico e tali sostanze contribuirono allo sviluppo di importanti conoscenze sul meccanismo d’azione di queste molecole.

La produzione di morfina in larga scala per scopi medici comincia nel 1827, ad opera della Merck & Co., mentre la prima somministrazione parenterale del farmaco avviene solo nel 1853 ad opera dello scozzese Alexander Wood (Fig. 3) (co-inventore della siringa ipodermica contemporaneamente a Pravatz) che inoculava per via sottocutanea la morfina in pazienti affetti da nevralgie croniche.

RECETTORI PER GLI OPPIOIDI
Fino ai primi anni ’70, il meccanismo d’azione di morfina, eroina e degli altri agenti oppioidi, anche se ben descritto, era sempre stato studiato in relazione all’interazione con altri sistemi di neurotrasmettitori, come quelli monoaminergico e colinergico.

Alcuni ricercatori supposero l’esistenza di un recettore specifico per queste sostanze a causa dell’equivalenza strutturale dei ligandi oppiacei, ma non riuscirono a provarne la presenza a livello encefalico. Solo nel 1973, ricercatori di tre diversi laboratori dimostrarono, attraverso l’utilizzo di radio-ligandi, i siti encefalici in cui erano concentrati i recettori per gli oppioidi. In base a studi condotti su cani spinalizzati, Martin e collaboratori documentarono, nel 1976, l’esistenza di tre distinti tipi di recettori in grado di interagire con oppioidi esogeni o endogeni (µ, κ, σ); un anno più tardi, Lord e collaboratori, identificarono un quarto tipo di recettore che fu denominato δ, che sembra essere il principale bersaglio degli oppioidi endogeni. Nel 1994 fu clonato anche un altro membro della famiglia dei recettori per gli oppioidi, denominato “nociceptina/orfanina FQ” (N/OFQ), che possiede una significativa omologia su un’estesa sequenza, nella struttura, con gli altri recettori della sua famiglia, ma che non ha mostrato alcuna interazione con nessuna classe di ligandi oppioidi, tranne che per la nocicettina, la quale mostra, invece, scarsa affinità nei confronti di tutti gli altri recettori.

Dai primi anni ’80 si sono resi disponibili ligandi altamente selettivi per i diversi tipi recettoriali e ciò ha reso possibile la definizione delle caratteristiche dei siti di legame di ognuno di essi e la determinazione della loro localizzazione anatomica attraverso l’utilizzo di tecniche di autoradiografia. Ogni recettore ha, infatti, una distribuzione caratteristica a livello di encefalo, midollo spinale e organi periferici (Mansour et al. 1988; Neal et al. 1999), a questa corrispondono funzioni e caratteristiche peculiari:

  • I recettori tipo δ, di cui esistono almeno 2 sottotipi, interagiscono prevalentemente con peptidi prodotti dall’organismo (metencefalina, leucoencefalina, dinorfina ed endorfine) e non hanno, quindi, rilevante importanza clinica.
  • I recettori tipo κ inducono analgesia e sedazione probabilmente a livello spinale, non determinano depressione respiratoria, ma possono causare disforia.
  • I recettori tipo σ sembrano mediare molti degli effetti collaterali degli oppioidi, appaiono responsabili di sintomatologia maniacale e di altri effetti di tipo psicotico oltre alcuni effetti vasomotori; tali recettori sono particolarmente addensati nell’ippocampo ed una loro stimolazione provoca, nel cane, midriasi, tachipnea, tachicardia e delirio e scatena una sindrome di astinenza negli animali morfino-dipendenti. Precedentemente era stato ipotizzato anche un loro coinvolgimento nell’analgesia ma,attualmente, non sembrano coinvolti nel controllo del dolore e la loro classificazionerimane incerta.
  • I recettori tipo µ, di cui riconosciamo tre sottotipi: µ1, ad elevata affinità per gli oppioidi ed in grado di produrre analgesia sopraspinale in quanto localizzati maggiormente a livello di sostanza grigia periacqueduttale; una volta stimolati provocano l’attivazione delle vie inibitorie discendenti che modulano la trasmissione degli stimoli dolorifici a livello di corna dorsali nel midollo spinale; µ2, meno affini agli oppioidi esogeni rispetto al primo sottotipo, presenti a livello spinale e responsabili della caratteristica depressione respiratoria indotta da queste molecole; µ3, a prevalente azione immunomodulatoria in quanto presenti a livello di membrana leucocitaria (Corletto 2004). Alcune conseguenze dell’attivazione di questo gruppo di recettori includono rigidità muscolare, inibizione della tosse, ipotensione ortostatica, riduzione della motilità gastrointestinale e aumento della secrezione di ADH. Essi, infine, insieme ai recettori δ sono responsabili della comparsa di nausea, vomito e miosi (Gustein, 2006).

Oggi va facendosi strada una nuova classificazione basata sulla clonazione dei tipi recettoriali che distingue i recettori in OP1 (δ), OP2 (κ), OP3 (µ) e ORL1 (recettore N/OFQ) (Lascelles 2000).

Per una completa comprensione del sistema degli oppiodi, risulta di cruciale importanza collocare i recettori nel loro contesto anatomico e fisiologico. Il dolore controllato dagli oppioidi deve essere, infatti, considerato nel sistema dei circuiti cerebrali che modulano l’analgesia e le funzioni dei vari tipi recettoriali in detti circuiti (Fields, 1991).

È ben documentato che gli effetti analgesici degli oppioidi derivano dalla loro abilità ad inibire direttamente la trasmissione ascendente delle informazioni nocicettive a livello delle corna dorsali del midollo spinale e ad attivare i circuiti per il controllo del dolore che discendono dal mesencefalo, attraverso il midollo rostrale ventro-mediale, fino alle corna dorsali. Peptidi oppioidi e loro recettori sono stati evidenziati all’interno di questi circuiti discendenti di controllo del dolore (Mansour et al. 1995; Gustein et al. 1998). La valutazione delle discrepanze tra i livelli di ligandi e l’espressione di mRNA che traduce per essi, ha permesso di stabilire che la maggior parte dei siti recettoriali µ si trova a livello pre-sinaptico sulla terminazione dei nervi nocicettivi afferenti primari. Una simile discordanza tra recettori µ e espressione di mRNA è stata osservata nella PAG dorso-laterale (Gutstein et al. 1998).

L’mRNA per i recettori δ e i suoi siti recettoriali sono stati evidenziati nei quadranti ventrali e ventro-laterali della PAG, della formazione reticolare pontina e dei nuclei reticolari gigantocellulari, ma solo bassi livelli di essi sono presenti nel rafe mediano e nel nucleo magno del rafe. Come per i recettori µ, ci sono numerosi siti recettoriali δ nelle corna dorsali, ma non espressione rilevabile di mRNA, ciò suggerisce un’importante ruolo nell’azione pre-sinaptica dei recettori δ, per quanto riguarda l’analgesia spinale. Una situazione simile è stata rilevata anche per i recettori κ.

Anche se nei gangli delle radici dorsali è stato osservato mRNA per tutti e tre i tipi recettoriali, essi sono localizzati in differenti tipi di cellule primarie afferenti: l’mRNA per i recettori µ è presente in cellule di medio e grande diametro, quello per i recettori δ è in cellule a grande diametro e quello per i κnelle piccole e medie cellule (Mansour et al. 1995). Questa diversa localizzazione può essere associata alle differenze funzionali con cui essi intervengono nella modulazione del dolore.

La distribuzione dei recettori per gli oppioidi nei circuiti discendenti per il controllo del dolore indica sostanziali sovrapposizioni tra i µ e i κ. Questi si distinguono anatomicamente dai δ nella sostanza grigia periacqueduttale, nel rafe mediano e nel nucleo magno del rafe (Gustein et al. 1998). Una simile differenziazione si evidenzia anche nel talamo, suggerendo che l’interazione tra i recettori µ e κ possa essere importante per la modulazione della trasmissione nocicettiva nei centri encefalici superiori, come nelle corna dorsali del midollo spinale.

MECCANISMO D'AZIONE
Per quanto riguarda il meccanismo d’azione, esso si traduce in una modulazione inibitoria pre- e post-sinaptica nel SNC, sia a livello di midollo spinale inibendo la trasmissione dell’impulso a livello dei neuroni di proiezione, sia a livello di mesencefalo e midollo allungato stimolando il rilascio di noradrenalina e serotonina. Infatti, a livello pre-sinaptico (fibre A-δ e C) gli oppioidi vanno ad inibire la liberazione di sostanza P e glutammato, mediatori ad effetto eccitatorio coinvolti nella trasmissione dell’impulso nocicettivo a livello midollare. A livello postsinaptico, invece, possono modificare le correnti ioniche neuronali (canali del calcio e del potassio), attraverso la loro inibizione o modulazione, provocando iperpolarizzazione delle membrane e diminuendo frequenza e ampiezza dei potenziali d’azione delle cellule delle lamine I, II e V delle corna dorsali. In particolare la stimolazione dei recettori µ e δ (Fig. 4), comporta una modificazione conformazionale dei recettori stessi e l’attivazione di un effettore guanosin-nucleotidico (Effettore G). L’attivazione dell’effettore G induce, a sua volta, l’inibizione dell’adenilato-ciclasi che determina riduzione della sintesi di AMP-ciclico, aumento della conduttanza al potassio e iperpolarizzazione neuronale, con conseguente riduzione della capacità di scarica. Il legame con il recettore κ, attiva, invece, un effettore che determina riduzione del flusso di calcio-ioni che è indispensabile per il rilascio di sostanza P. Il recettore σ riduce la trasmissione ai centri sovraspinali tramite inibizione del rilascio di N-metil-D-aspartato (NMDA).

L’azione farmacologica dei singoli farmaci dipenderà dai recettori oppioidi con cui andranno ad interagire, dalla selettività di tale legame, dagli effetti fisiologici normalmente associati, dall’attivazione di ciascun recettore e dalla loro localizzazione nell’organismo (infatti l’interazione con i recettori m localizzati a livello sopraspinale sembrerebbe determinare una migliore analgesia rispetto a quella ottenuta attraverso il legame con i recettori µ spinali), nonché dal tipo di legame tra recettore ed oppioide.

CLASSIFICAZIONE DEGLI OPPIOIDI
I vari farmaci oppioidi mostrano avere differente affinità e selettività per i diversi recettori e, conseguentemente, diversi comportamenti tra loro; per questo sono stati suddivisi in tre classi:

  1. agonisti puri (morfina, meperidina, ossimorfone, codeina, metadone, fentanyl, alfentanil, sufentanil, remifentanil);
  2. agonisti-antagonisti (butorfanolo, pentazocina, nalbufina);
  3.  agonisti parziali (buprenorfina);
  4. antagonisti (naloxone, naltrexone, nalmefene).

Alla prima classe appartengono molecole che mostrano un’alta affinità nei confronti di recettori µ, ma in grado di legarsi anche a recettori κ e δ. Esse sono in grado di produrre un’ottima analgesia, anche in presenza di dolore intenso ed un certo grado di sedazione. Gli agonisti puri permettono, inoltre, un buon controllo del dolore avendo un rapporto dose-effetto lineare e non presentando il così detto “effetto tetto”, contrariamente a quanto accade per gli agonisti parziali e gli agonisti antagonisti. Questo fenomeno implica che, aumentando le dosi di farmaco oltre un certo livello, l’effetto analgesico si antagonizza, causando riduzione del livello di analgesia (Fernandez 2001). I farmaci compresi nella seconda classe (agonisti-antagonisti) si comportano come agonisti nei confronti di alcuni recettori (κ e forse δ) e come antagonisti nei confronti di altri (µ). Gli oppioidi agonisti parziali, manifestano solo parziale attività agonista verso i recettori µ nei confronti dei quali mostrano, però, spiccata affinità. Questi oppioidi (seconda e terza classe) hanno la capacità di antagonizzare, in parte, l’azione degli agonisti puri; quest’azione può risultare utile quando si ha necessità di eliminare alcuni effetti collaterali come depressione respiratoria o disforia indotta da agonisti puri. Nel caso degli agonisti parziali pur attivando essi solo parzialmente i recettori µ, vi si legano molto avidamente, risultando poco antagonizzabili sia dagli agonisti puri che dagli antagonisti. Per quanto riguarda, infine, gli oppioidi antagonisti, essi si legano al recettore senza attivare la trasduzione del segnale, pertanto, non provocano alcun effetto analgesico. La loro azione antagonista è rivolta principalmente ai recettori µ ed in misura minore verso i recettori δ e κ. Sono in grado di antagonizzare tutti gli effetti farmacologici degli altri oppioidi e ciò include ovviamente anche l’annullamento dell’analgesia. Sono impiegati in corso di grave depressione cardio-respiratoria a seguito di somministrazioni errate di oppioidi agonisti.

FARMACOCINETICA E FARMACODINAMICA
In generale l’assorbimento degli oppioidi è regolare ed efficace a seguito di somministrazione intramuscolare, sottocutanea e parenterale. Tuttavia, la somministrazione orale, risulta poco utilizzabile a causa di un “first pass metabolism effect” a livello epatico, che ne riduce notevolmente la biodisponibilità; ad esempio, l’assorbimento orale di morfina è di circa il 25% (Gustein, 2006). Per questo motivo nell’uomo si consiglia di non inghiottire la soluzioni o le pastiglie di oppioidi ad uso orale (morfina, fentanyl) ma mantenerle in bocca a contatto con la mucosa per favorire il lento assorbimento mucosale, cosa peraltro non facile o impossibile nei nostri pazienti.

Al contrario l’assorbimento a livello della mucosa rettale è efficace ed alcuni farmaci, come morfina, sono disponibili in supposte, ma l’utilizzo di questa via negli animali è ancora poco studiata. Gli oppioidi più lipofili sono assorbiti rapidamente attraverso la mucosa nasale e buccale (Weinberg et al 1988) e, se la lipofilia è particolarmente spiccata come nel caso del fentanyl o buprenorfina, anche per via transdermica (Portenoy et al. 1993), utilizzando appositi cerotti che rilasciano lentamente il farmaco che attraversa la cute per poi passare nel circolo ematico.

Gli oppioidi posso penetrare adeguatamente nel midollo spinale a seguito di somministrazione epidurale od intratecale, ma gli effetti risultano diversi in dipendenza soprattutto della lipofilia. Infatti molecole molto liposolubili forniranno, rispetto a quelle idrosolubili (morfina), analgesia più segmentale, con effetti molto localizzati grazie al rapido assorbimento nel tessuto neurale, ma con durata d’azione inferiore, a causa della ridistribuzione nella circolazione sistemica (Bufalari, 2008).

uando gli oppioidi vengono somministrati per via endovenosa sono in grado di agire rapidamente (ad esempio, il sufentanil nell’uomo evidenzia l’effetto massimo dopo circa 7 minuti), la morfina, invece, ha un’insorgenza dell’effetto più lenta a causa della differenza nelle frazioni di assorbimento e ingresso nel SNC. Essa infatti, se confrontata ad oppioidi liposolubili come codeina, eroina e metadone attraversa la barriera emato-encefalica in maniera considerevolmente più lenta.

La maggior parte degli oppioidi vengono metabolizzati a livello epatico attraverso un processo di glucuronazione o dimetilazione. I metaboliti epatici sono escreti per via renale. L’eliminazione per via biliare e la circolazione enteroepatica possono prolungare gli effetti farmacologici, così come la formazione di metaboliti attivi (Boothe 2001).

EFFETTI DEGLI OPPIOIDI PIU' USATI IN CLINICA

Analgesia e sedazione
In generale, il grado di analgesia, la sua durata e, quindi, l’efficacia del farmaco nel controllare dolore lieve, moderato o severo, dipenderà dalla classe a cui appartiene e dalla dose somministrata (Nolan 2000). La differente potenza analgesica si valuta utilizzando come modello la morfina, a cui è stato assegnato, convenzionalmente, il valore 1 (Tabella 1).

Potenziale analgesico di alcuni farmaci oppioidi

Morfina

1

Meperidina

0,3 – 0,5

Ossimorfone

5 - 15

Butorfanolo

50

Buprenorfina

30 - 50

Fentanyl

80 – 100

Sufentanil

625

Tabella 1. Potenziale anlagesico di acluni oppioidi

Oltre all’analgesia, gli oppiodi inducono un certo effetto sedativo che risulta essere più marcato nel cane rispetto al gatto (Fernandez 2001). Comunque, anche in questo caso, la sua insorgenza varia in funzione del principio attivo scelto ed è legata all’interazione del farmaco con i recettori m ed in misura minore con quelli k. La sedazione può rappresentare un vantaggio od uno svantaggio a seconda della situazione clinica del paziente (Boothe 2001). Come effetto secondario si può verificare anche ipereccitazione o euforia soprattutto se si impiegano dosi elevate in animali coscienti. L’euforia, nel cane come nel gatto, risulta più frequente in pazienti sani o che, comunque, non manifestano dolore e la sua incidenza può essere diminuita mediante l’utilizzo congiunto di tranquillanti (Fernandez 2001).

Nell’uomo gli oppioidi provocano analgesia, sonnolenza, cambiamenti d’umore e ottundimento del sensorio fino alla perdita di coscienza (Gutstein e Akil 2006).

Depressione respiratoria
Gli oppioidi causano diminuzione dell’attività dei centri respiratori bulbari che presentano minore sensibilità alla CO2 e all’ipossia (Alvarez, 2005). Si verifica anche decremento del volume minuto respiratorio per calo di frequenza, più che di ampiezza, che può arrivare fino all’apnea, a causa della depressione dei centri pontini e bulbari. Questo effetto è dose dipendente e sembra essere in relazione con l’attivazione dei recettori µ; in effetti si manifesta in particolar modo a seguito della somministrazione di oppioidi agonisti puri. La depressione respiratoria può portare ad accumulo di CO2, che a sua volta, produce vasodilatazione a livello encefalico incrementando, quindi, il flusso sanguigno cerebrale ed aumentando la pressione del liquido cefalorachidiano. È importante prestare attenzione al controllo della ventilazione (mantenere uno stato di normocapnia) quando si devono trattare pazienti che abbiano subito trauma cranico o che debbono essere sottoposti a procedure chirurgiche a carico del SNC.

È frequente assistere a “panting” (Video 1) o respiri superficiali e frequenti accompagnati da scialorrea, causati non tanto da effetti sui centri respiratori, quanto all’interazione con il centro termoregolatore ipotalamico; il fenomeno, generalmente, è temporaneo e ha remissione spontanea.

Effetti su SNC
Gli oppioidi attenuano il riflesso della tosse, esercitando un effetto diretto sul centro bulbare della tosse; la soppressione di tale riflesso coinvolge i recettori per gli oppiacei situati nel midollo allungato. Non si conosce con esattezza il meccanismo, ma l’azione antitussiva non è correlabile né all’analgesia né alla depressione respiratoria. La codeina riduce la tosse a dosi più basse rispetto a quelle necessarie per indurre analgesia (Alvarez, 2005). Un aspetto importante è che quest’azione potrebbe aumentare la tolleranza del soggetto al tracheotubo e ritardare la fase di estubazione (Papich 2000).

Le molecole morfino-simili stimolando direttamente la “chemoreptor trigger zone” (CTZ) situata nell’area postrema del midollo allungato, possono indurre sensazione di nausea e vomito. Inoltre la morfina aumenta la sensibilità dei centri vestibolari (Gustein, 2006). L’effetto emetico degli agonisti puri varia notevolmente a seconda dell’animale: polli e suini si mostrano refrattari alla maggior parte degli emetici centrali, contrariamente a ciò che si verifica con il cane e il gatto; quest’ultimo necessita, però, di dosi notevolmente più elevate di morfina o di apomorfina, per l’induzione di vomito, rispetto al cane. Infine, in questa specie, il vomito è solitamente preceduto da scialorrea, nausea e spesso anche da defecazione (Boothe 2001).

Nel cane e nell’uomo, gli oppioidi inducono miosi in risposta alla stimolazione dei recettori μ e k situati a livello del nucleo di Edinger-Westphal del nervo oculomotore, mentre nel gatto e nel cavallo l’effetto è di tipo midriatico e ciò in dipendenza del fatto che, benchè a livello di iride la morfina attivi il tono parasimpatico (aumentando la frequenza di scarica spontanea di potenziali dei neuroni fotosensibili al nucleo oculomotore anteriore), l’effetto miotico risulta annullato da aumentata liberazione di catecolamine da parte dei surreni, che comporta midriasi (Boothe 2001). In tutti i casi infine, se si verifica ipossia grave, la miosi si converte in midriasi.

Gli oppioidi alterano l’equilibrio dei centri termoregolatori ipotalamici, in modo da determinare o leggera diminuzione della temperatura corporea o aumento (panting) nel cane e nel gatto (Branson 1996).

La somministrazione di morfina, altera anche il rilascio di ormoni e come conseguenza di ciò, le concentrazioni plasmatiche di testosterone e cortisolo, risulteranno più basse. L’aumentata secrezione di ormone antidiuretico potrà portare nel cane a riduzione della minzione anche del 90%; inoltre la morfina aumenta il tono del detrusore vescicale, rendendo ancora più difficoltosa l’urinazione.

Effetti cardiocircolatori
A livello cardiovascolare gli effetti degli oppioidi sono limitati solo alla bradicardia e ciò li rende farmaci relativamente sicuri nella maggior parte dei pazienti. Gli oppiodi agonisti puri possono agire sul centro vasomotore, generando modica e transitoria vasodilatazione sia arteriosa che venosa con conseguente riduzione di pre- e post-carico e ipotensione. Per attenuare questi effetti è preferibile somministrare gli oppioidi in vena molto lentamente (2-3 minuti). Alcuni agenti morfino-simili (es. meperidina) possono indurre liberazione di istamina e, per questi oppioidi, è preferibile evitare la via endovenosa.

La bradicardia è un evento che si verifica frequentemente con la somministrazione di molti oppioidi, ciò avviene per stimolazione del nervo vago; la petidina, a causa della sua azione antimuscarinica, è in grado di indurre modica tachicardia (Alvarez, 2005; Rang, 2004) (Video 2). Gli effetti parasimpaticomimetici sono comunque facilmente gestibili mediante l’utilizzo di atropina e glicopirrolato (Fernandez 2001; Papich 2000). Fentanyl e derivati, risultano meno ipotensivi, assicurando migliore stabilità cardiovascolare e non stimolano il rilascio di istamina dai mastociti. Alti dosaggi di fentanyl o sufentanil sono comunemente utilizzati nella premedicazione di pazienti che si devono sottoporre a chirurgia cardiovascolare o che soffrono di insufficienza cardiaca (Gustein et al. 2006).

Effetti gastrointestinali
Gli agonisti oppioidi provocano aumento del tono muscolare del tratto gastrointestinale e una inibizione dell’attività neurogena con riduzione della motilità. Come conseguenza, si ha svuotamento gastrico ritardato, ridotta peristalsi intestinale e contrazione degli sfinteri. Ciò si manifesta clinicamente con costipazione e ridotta secrezione biliare e pancreatica, dovuta ad aumento della pressione nelle vie biliari per ipertono dello sfintere di Oddi. Questo fenomeno ha una componente centrale ed una periferica e coinvolge, fondamentalmente, i recettori  µ, rendendo possibile l’utilizzo degli oppioidi come anti-diarroici (il loro primitivo uso in medicina umana era infatti legato a quest’azione terapeutica).

Liberazione di istamina
Meperidina, morfina e buprenorfina determinano il rilascio di istamina in vitro; in vivo la meperidina è sicuramente quella più pericolosa sotto questo aspetto. La nalbufina ne causa la liberazione nell’uomo, ma non nel cane (Guedes, 2006). Butorfanolo, fentanyl e suoi derivati e ossimorfone non inducono questa liberazione né nell’uomo né nel cane. Gli oppiacei che liberano istamina agiscono direttamente sui mastociti, inducendo degranulazione non citotossica, parzialmente calcio dipendente. Non è ancora chiaro se, per questo tipo di degranulazione, che comunque non sembra così grave a seguito di iniezione intramuscolare, siano necessari il legame e l’attivazione dei recettori per gli oppioidi. In ogni caso, essa è esacerbata in caso di rapida somministrazione di alte dosi per via endovenosa. Tuttavia, essendo la degranulazione dipendente dalla dose e dalla via utilizzate, l’utilizzo di dosaggi ridotti somministrati continuativamente e lentamente, in modo da ridurre picchi di concetrazione di farmaco nel plasma, dovrebbe ridurre la possibilità di effetti collaterali dovuti al rilascio di istamina. Tra questi i principali risultano ipotensione e tachicardia, ma si possono manifestare anche broncocostrizione, collasso cardiovascolare, prurito e urticaria (Figg. 5 e 6) (Shepherd, 2003).

Tolleranza farmacologica e dipendenza
In caso di trattamenti cronici con oppioidi si presenta una diminuita intensità nella risposta o una più breve durata d’azione, il che obbliga ad aumentarne progressivamente le dosi. Questo è un effetto comune a tutti le classi di oppioidi indipendentemente dal tipo di recettore attivato. Il recettore NMDA per il glutammato sembra implicato nello sviluppo della tolleranza all’azione di queste molecole. La somministrazione prolungata di oppioidi attiva tale recettore, diminuendone conseguentemente l’efficacia. Per questo motivo l’impiego di farmaci con azione bloccante il recettore (metadone ha la proprietà di legarsi ai recettori NMDA) consente di ridurre la tolleranza agli oppioidi e la dipendenza fisica. Questa si manifesta con sindrome da astinenza all’improvvisa sospensione dell’oppioide somministrato in modo cronico (Nolan 2000).

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