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Valutazione del dolore nel cane e nel gatto

  • Disciplina: Anestesiologia
  • Specie: Cane e Gatto

Oggi il trattamento del dolore negli animali deve essere considerato uno dei compiti più importanti, dal punto di vista etico prima e professionale poi, di ogni medico veterinario. L’Association of American Veterinary Medical Colleges, delineando le qualità che dovrebbero distinguere un veterinario (Willis et al 2007), elencava le seguenti caratteristiche: compassion, expertise humaneness, judgment, care eunderstanding. Tutte queste qualità sono importanti nel cercare di ridurre l’esposizione al dolore di ogni animale che ci sia affidato.  Secondo l’IASP (International Association for the Study of Pain): “linabilità di comunicare non nega in alcun modo la possibilità che un individuo provi dolore e richieda un trattamento analgesico”. Questa affermazione è molto importante in medicina veterinaria, perché sottolinea la necessità di trattare il dolore  anche in pazienti non in grado di comunicare verbalmente.

Tuttavia, il dolore deve essere trattato negli animali da compagnia non solo per motivi etici, ma anche perché è in grado di influenzare il normale comportamento dell’animale (ridotta assunzione di acqua e cibo, aggressività, depressione, alterazione dell’urinazione e della defecazione, alterazione dei rapporti con l’uomo e con altri animali). Diminuisce, inoltre, i movimenti respiratori, promuovendo l’atelettasia polmonare; diminuisce la mobilità, favorendo l’anchilosi e l’atrofia muscolare e riduce l’attività gastrointestinale. Il dolore aumenta l’attività del sistema nervoso simpatico, favorendo la liberazione di catecolamine, che predispone all’insorgenza di tachicardia ed ipertensione e altera la normale perfusione degli organi, centralizzando la circolazione ematica. Ciò determina continuo stress per l’apparato cardiocircolatorio. Il dolore, soprattutto se persistente, altera il normale metabolismo e l’attività neuroendocrina. Sono ben noti gli effetti endocrini del dolore e dello stress. La secrezione di cortisolo e glucagone favorisce lo stato catabolico e ritardando o compromettendo il processo di guarigione dell’organismo, in più la mobilizzazione degli acidi grassi dalle riserve determina un progressivo scadimento delle condizioni generali.

FISIOPATOLOGIA DEL DOLORE
Prima di proseguire con la trattazione della valutazione del dolore, vale la pena chiarire che il primo step per affrontare il dolore è quello di caratterizzare la sua fisiopatologia. E’ quindi importante chiarire che valutare tutti i tipi di dolore con le scale di valutazione riportate normalmente in veterinaria, sarebbe dannoso per il paziente e frustrante per il clinico. L’algologia moderna riconosce tre tipi di dolore: quello acuto, quello persistente e quello cronico. Il dolore acuto è il dolore nocicettivo, di breve durata con un evidente rapporto di causa/effetto. Esso si esaurisce quando cessa l'applicazione dello stimolo nocicettivo o si ripara il danno responsabile dello stimolo. Esempi sono il dolore post-operatorio, le coliche renali e biliari ed il dolore traumatico. Una caratteristica fondamentale del dolore acuto è di rispondere alle misure antinocicettive: questa caratteristica è condivisa dal dolore persistente ma non da quello cronico. Il dolore persistente è causato dalla permanenza dello stimolo nocicettivo o dei meccanismi che sostengono il dolore neuropatico. Come nel dolore acuto, si ha di solito una buona risposta agli analgesici ed alle altre misure antinocicettive o rispettivamente ai farmaci per il dolore neuropatico. Il dolore cronico viene definito comunemente in base ad un criterio temporale, da alcuni è definito “cronico” il dolore che dura più di sei mesi… In realtà la moderna algologia rifiuta questa definizione. Infatti, considerando il dolore da coxartrosi, per esempio, questo può persistere mesi o anni mantenendo le sue caratteristiche di dolore acuto, senza diventare cronico e per esso è appropriata la definizione di dolore persistente, mentre un dolore da frattura ossea che persiste per più di poche settimane, vale a dire dopo che la frattura è riparata, può essere già cronico prima dei fatidici sei mesi. Allora è bene chiarire che il dolore perché sia cronico deve avere le seguenti tre caratteristiche: primo, la mancanza di un rapporto di causa-effetto tra nocicezione (o meglio “lesione algogena”) e dolore; secondo, ci deve essere un rapporto fra il dolore e le modificazioni plastiche del SNC indotte dalla nocicezione; terzo, c’è solitamente un rapporto fra il dolore e le modificazioni del carattere e dello stile di vita del paziente. Quindi il dolore deve prima essere ben inquadrato, poi devono essere utilizzati gli strumenti adeguati per valutarne l’entità e poi in una logica sequenza potrà essere trattato.

Tutti gli animali provano dolore ma non tutti lo manifestano allo stesso modo. Le manifestazioni del dolore non solo cambiano al variare, per esempio, della specie, età e razza, ma è da tenere ben presente la variabilità interindividuale e le diverse caratteristiche cliniche manifestate da diversi tipi di dolore. Anche il cane e il gatto manifestano segni di dolore, ma lo fanno spesso in modo diverso. Il cane è spesso più incline a segnalare ai proprietari uno stato di dolorabilità, mentre il gatto tende più spesso ad isolarsi. Tuttavia la mancanza di segni evidenti non può escludere automaticamente che il soggetto non abbia dolore o che non stia subendo delle conseguenze negative conseguenti al dolore. Anche l’evoluzione dello stato dolorifico successivo ad un intervento chirurgico ha un andamento variabile da soggetto a soggetto, alcuni animali sembrano essere privi di dolore fin dalle prime ore postoperatorie, in altri il dolore perdura a lungo. Quindi la stessa procedura in due soggetti diversi può richiedere, dal punto di vista della terapia analgesica postoperatoria, trattamenti completamente diversi, sia in termini di dosaggio, sia in termini di principio attivo, di modalità e frequenza di somministrazione. La risposta individuale all’insulto chirurgico e ai farmaci analgesici condizionerà profondamente la variabilità del dolore postoperatorio anche nel paziente veterinario. Parte di questa variabilità dipende anche dalla possibile presenza contemporanea di più tipologie di dolore nello stesso soggetto. Per esempio un cane anziano con osteoartrite, sottoposto ad intervento per rimuovere una massa, potrebbe manifestare dolore muscoloscheletrico per il posizionamento sul tavolo operatorio, oltre al dolore della chirurgia di per sé. Come un cane sottoposto ad emilaminectomia per rimuovere un’ernia discale inveterata potrà presentare un dolore nocicettivo e disnocicettivo.

La valutazione del comportamento è parte integrante della visita medica di ogni animale. Conoscere il normale comportamento e informarsi su eventuali peculiarità di un soggetto è fondamentale per trattare il dolore e attuare l’appropriata strategia analgesica. Quindi le informazioni fornite dal proprietario in questo senso saranno fondamentali per individuare comportamenti inusuali e quindi spiegabili come possibili segni di dolore. Questi possono essere inquadrati come mancanza di reazioni attese o acquisizione di comportamenti inusuali, tuttavia tali situazioni possono andare inosservate o eccessivamente enfatizzate sia dal proprietario che dall’equipe veterinaria. Un approccio sistematico e olistico che non consideri solo l’animale, ma anche il contesto in cui il soggetto è inserito, risulterà fondamentale per riconoscere cambiamenti di comportamento e dei parametri fisiologici. La frequenza respiratoria e cardiaca, la pressione arteriosa sistemica e la temperatura sono valori che si innalzano in stati dolorifici così come in molte altre situazioni. Due fattori principali rendono la valutazione dei suddetti parametri una misura inaffidabile per la valutazione del dolore, uno è lo stress e l’altro sono i farmaci che gli animali ricevono nel periodo perioperatorio. Le strutture veterinarie vengono percepite dagli animali, ovviamente, come ambienti ostili, che causano ansia aumentando il tono simpatico alterando i valori cardiorespiratori con il contributo o meno del dolore. Non solo, lo stress induce anche comportamenti che possono essere sovrapposti a quelli conseguenti a dolore. D’altro canto i farmaci anestetici “manipolano” profondamente il sistema simpatico causando, ancora una volta, alterazioni che poco hanno a che vedere con il dolore.

Altro problema rilevante, una volta emesso il sospetto che il paziente possa aver dolore, è quantizzarlo e di conseguenza impostare la terapia più appropriata. Non sempre risulta facile “pesare” le manifestazioni relative al dolore e prendere delle decisioni terapeutiche adeguate alla situazione. La risposta più efficace a questa serie di problemi è fornita dalle scale per la valutazione del dolore. Le scale per la valutazione del dolore sono degli strumenti che si prefiggono di misurare in maniera oggettiva l’entità del dolore misurando vari parametri e comportamenti, giungendo poi ad una risposta  sulla necessità di somministrare una terapia analgesica. Per aggirare le difficoltà sopra esposte e quindi trattare il dolore in maniera efficace, è necessario implementare nella pratica clinica l’uso di queste scale. Alla luce di quanto appena esposto, l’assessment mediante scale di misura specificatamente progettate per tale scopo è l’aspetto fondamentale senza il quale non è possibile offrire al paziente un controllo appropriato dell’algesia. La rilevazione sistematica del dolore favorisce un’adeguata somministrazione di analgesici, riduce la sensazione di algesia esperita dal piccolo paziente e contribuisce alla sua soddisfazione nei confronti delle cure ricevute, migliorando gli esiti terapeutici e riducendo la comparsa di disturbi/effetti collaterali associati a questi farmaci. In caso contrario, il dolore non trattato può aggravarsi, dare origine a complicazioni tali da aggravare il quadro clinico del paziente. La valutazione del dolore nel cane e nel gatto è tuttora oggetto di discussione: esistono diverse “scale” per la valutazione del dolore, tuttavia molto spesso tali sistemi non sono propriamente testati e validati, pertanto hanno un'applicabilità limitata. Il maggior problema nel valutare il dolore negli animali, ovviamente,  è che i nostri pazienti non sono in grado di comunicare verbalmente.

RACCOMANDAZIONI GENERALI NELLA VALUTAZIONE DEL DOLORE
Il criterio guida che deve ispirare tutti gli operatori che si interessino di dolore è che qualsiasi essere che stia provando dolore merita una pronta diagnosi ed un’efficace terapia. Per far questo la valutazione del dolore deve essere una pratica routinaria, eseguita con sufficiente frequenza anche in un breve lasso di tempo e deve essere documentata. Nei soggetti non verbalizzanti, l’accertamento del dolore non può essere eseguito in un unico modo (sola osservazione del comportamento o della stimolazione del sito dell’intervento). Le seguenti indicazioni dovrebbero essere seguite:

  • Ricercare le potenziali cause di dolore. Condizioni patologiche note per poter causare dolore, procedure chirurgiche recenti e note anamnestiche che riportino dolore persistente o cronico, dovrebbero comunque promuovere l’accertamento del dolore, anche in mancanza di alterazioni del comportamento. D’altra parte anche cambiamenti del comportamento dovrebbero far escludere stadi algici in atto. Dove si verifichino le suddette condizioni, dovremo considerare il dolore presente e cercare gli elementi per escluderlo piuttosto che l’inverso. In condizioni di dubbio legittimo, può essere corretto somministrare un analgesico e vedere l’effetto. Tutti i soggetti che sono sottoposti a procedure che provochino dolore dovrebbero ricevere degli analgesici prima della procedura in una ottica corretta di “analgesia preventiva”.
  • Comportamento. L’osservazione del comportamento fornisce innumerevoli informazioni sullo stato algico del paziente. Tuttavia non sempre l’entità delle alterazioni del comportamento è proporzionale all’intensità del dolore, non solo, capita spesso che l’origine di tali alterazioni non sia il dolore ma lo stress fisiologico o mentale. In questo ambito è importante sottolineare le differenze di razza e interindividuali che giocano un ruolo importante. Alcun razze manifestano i segni d’ansia in maniera molto evidente (Dalmata, Weimaraner, Doberman, ecc…) altri tendono invece a mascherare qualsiasi reazione a stati di disagio (Setter, Breton, ecc…). Ovviamente all’interno di queste classificazioni c’è un’ampia variabilità interindividuale.
  • Dati anamnestici. Quando le informazioni ottenute dai proprietari, sono ritenute credibili, possono rappresentare una risorsa preziosa sia nella diagnosi, sia come importante feedback nell’iter terapeutico.
  • Trial analgesico. La somministrazione di analgesici può far parte integrante dell’iter diagnostico, quando ci siano ragioni fondate per credere che il soggetto in esame soffra di uno stato algico in corso. E’ importante sottolineare due aspetti che dovrebbero essere tenuti sempre ben presenti nell’attuare questa pratica: il primo è iniziare il trial con farmaci ben conosciuti e di nota efficacia, come antinfiammatori non steroidei (FANS) e oppioidi, prima di utilizzare farmaci i cui campi d’impiego siano notoriamente più ristretti e gli effetti collaterali potenzialmente più gravi; il secondo aspetto è tenere in mente che molti farmaci analgesici, oppioidi in primis, hanno un ampio range di efficacia. Questo implica che il trial preveda delle somministrazioni di farmaci, appunto come gli oppioidi, a dosi crescenti fino a che non si abbia l’effetto analgesico voluto o non inizino a comparire gli effetti collaterali.

Le scale per la valutazione del dolore sono tra gli strumenti più utili per misurare il dolore negli animali e per stabilire se il soggetto va trattato o meno. Lo scopo principale delle scale del dolore è quello di rappresentare uno strumento oggettivo per valutare il dolore. Quindi il dolore deve essere constatato sottoponendo il paziente ad osservazione, se lasciato indisturbato, ed alla constatazione di come interagisce con persone e cose che lo circondano. Dovrebbero essere viste in maniera critica tutte le scale che si basino semplicemente sull’opinione del clinico, quindi relativa ad elementi soggettivi di  giudizio. D’altra parte è opinione comune che gl’indicatori fisiologici (frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa) non siano sensibili per discriminare la presenza di dolore da altri stati di sofferenza come lo stato d’ansia. L’assenza di alterazioni dei segni vitali non esclude la presenza di dolore. Altro aspetto da sottolineare è che queste scale possono costituire un importante fonte di documentazione, per monitorare il dolore (e quindi l’analgesia), il loro utilizzo deve essere programmato ad intervalli regolari, più o meno ravvicinati a seconda dell’esigenze. Non si può nascondere il fatto che comunque l’implementazione delle scale di valutazione del dolore nella pratica clinica giornaliera in una struttura veterinaria non sia scevra da qualche problema iniziale. Sono stati proposti diversi sistemi  per la valutazione del dolore:

  • Parametri fisiologici. È ben noto che il dolore induce un'immediata attivazione del sistema simpatico ed una risposta neuroendocrina con maggiore latenza e di più lunga durata mediata dall'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Tale risposta è riconoscibile clinicamente ed utilizzando esami di laboratorio: la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, le catecolamine circolanti e la cortisolemia aumentano. Altri parametri fisiologici alterati possono essere il diametro pupillare e la frequenza respiratoria. La valutazione dei parametri fisiologici, tuttavia, non presenta specificità nell'identificare il dolore, in quanto indica semplicemente la presenza di stress. La semplice ospedalizzazione o la presenza del medico veterinario sono in grado di attivare una risposta allo stress.
  • Valutazione soggettiva da parte dell'operatore mediante utilizzo di una Visual Analogue Scale (VAS). Trasposto dalla medicina umana, nella quale ha un ruolo importante, il sistema consiste in una linea di 10 cm, i cui estremi sono “Assenza di dolore” e “Dolore insopportabile”. In medicina umana, il paziente pone una linea verticale in corrispondenza del punto della linea orizzontale che meglio riflette la propria percezione del dolore. Il sistema è interessante perché consente al paziente di esprimere soggettivamente la percezione del dolore. Purtroppo in medicina veterinaria la VAS non può essere utilizzata dal paziente, pertanto è l'osservatore che pone la linea verticale, cercando di stimare, in base alla propria esperienza, il dolore percepito dall'animale. L'effetto di tale “interpretazione” è che la ripetibilità della valutazione è bassa, sia tra operatori differenti, ma anche per lo stesso operatore in tempi diversi. Nonostante ciò, e nonostante l'esistenza di sistemi più sensibili e specifici, la VAS è ancora molto utilizzata in medicina veterinaria.
  • Scale descrittive semplici: costituite da 4 definizioni, di solito “Dolore assente”; “Dolore lieve”, “Dolore moderato”, “Dolore Intenso”. L'operatore, in base alla propria esperienza, decide l'intensità del dolore. La ripetibilità è moderata, come per la VAS, e la valutazione soggettiva da parte dell'operatore influenza il risultato pesantemente.
  • Scale numeriche costituite da voci multiple che assegnano punteggi in base alla presenza/assenza/alterazione dell'aspetto considerato. Il punteggio totale viene poi sommato e si interviene con analgesici oltre una certa soglia (stabilita a priori oppure in base ad una precedente valutazione del medesimo soggetto). Un esempio è il sistema ideato ed utilizzato nell'Università del Colorado.
  • Scale numeriche che descrivono dettagliatamente le caratteristiche del paziente in base all'intensità del dolore. Un esempio tipico è la scala elaborata da Mathews che, tuttavia, può non essere di facile utilizzo per la presenza di sfumature molto sottili tra una classe e l'altra.
  • Considerato che il dolore influenza in misura notevole il comportamento del paziente, alcuni autori hanno elaborato scale di valutazione basate sull’identificazione della presenza di pattern comportamentali specifici e sensibili per il dolore (distinguendo, quindi, per la prima volta, tra dolore acuto e cronico, che inducono alterazioni comportamentali differenti) o l'assenza di comportamenti ritenuti normali. Un tipico esempio è il sistema di valutazione del dolore acuto nel cane proposto dall'università di Glasgow, la cui efficacia è stata validata in modo scientifico e che consente, abbastanza rapidamente, di identificare il dolore acuto nel cane in modo specifico e sensibile. Lo schema di valutazione può essere scaricato gratuitamente dal sito web della facoltà di medicina veterinaria di Glasgow.

Tali sistemi sono stati formulati per valutare il dolore acuto nel cane. In alcuni casi sono stati adattati per l'utilizzo nel gatto, ma tale traslazione non è spesso supportata scientificamente. Il gruppo di ricerca di Glasgow sta elaborando sistemi di valutazione specifici per il gatto, specie notoriamente difficile da valutare.

VALUTAZIONE DEL DOLORE NEL CANE
La valutazione del dolore in questa specie, benché complessa, risulta meno frustrante che in altre specie. Il cane è un animale sociale, quindi ha sviluppato comportamenti sociali complessi che lo rendono incline a comunicare con gli altri elementi del gruppo (incluso i proprietari) o con animali esterni al gruppo stesso (medico). Questa sua natura è anche favorita dall’essere al vertice della catena alimentare, avendo così, pochi nemici naturali, non ha sviluppato comportamenti che avessero lo scopo di celare uno stato di sofferenza, ma anzi la manifestazione di disagio può permettere, in alcune situazioni, di ricevere aiuto da parte del gruppo. Il dolore in generale provoca una riduzione nella ricerca d’interazione tra cane e uomo, una riduzione nel desiderio di uscire dalla cuccia, un minor appetito e può scatenare anche reazioni di aggressione nei confronti di soggetti che vivano nello stesso ambito. Quindi la buona conoscenza che l’uomo ha del cane e la natura sociale di quest’ultimo fanno sì che sia possibile cogliere anche minime variazioni del comportamento e del carattere, potenzialmente riferibili a dolore.

Il cane come è stato fin qui detto tende per sua natura a fornire informazioni, ciò che rappresenta una difficoltà della valutazione del dolore è interpretare correttamente i segnali che vengono manifestati. In questo, probabilmente, risiede gran parte dei problemi che ruotano intorno alla valutazione del valore nella specie canina. Questo problema si manifesta principalmente con la difficoltà di distinguere lo stress ambientale, vissuto in maniera intensa dal cane ricoverato in una struttura veterinaria per breve o lungo tempo e le manifestazioni relative ad uno stato algico. Di conseguenza non è sempre così facile capire quando un soggetto ha realmente dolore o quando è in stato di agitazione che lo può spingere a comportarsi in maniera molto simile ad un soggetto in stato algico. In realtà ogni soggetto reagisce in maniera differente a parità di stimolo dolorifico, alcuni cani sembrano mostrarsi indifferenti a stimoli dolorifici minori altri possono vocalizzare e reagire aggressivamente. In generale tutti tendono a sottrarsi a manualità che temono poter provocare dolore. Certi soggetti sembrano dimenticarsi del dolore se distratti con del cibo o in altro modo. Questo suggerisce, ancora una volta, che fattori esterni al cane stesso possono cambiare anche radicalmente il comportamento del cane nei confronti del dolore.

Il dolore intenso presenta minori aree grigie e la possibilità di equivocare è poco probabile. Guaiti, latrati, reazioni aggressive e tentativi di fuga sono manifestazioni evidenti e spesso associati a patologie in atto o pregresse. Tuttavia il dolore intenso persistente può immobilizzare e deprimere il cane, conducendolo all’anoressia e alla mancanza di assunzione di fluidi che provocano scadimento delle condizione fisiche generali e disidratazione. In realtà le condizioni molto dolorose nel cane, possono essere caratterizzate da segni sottili che spesso richiedono un'attenta osservazione del comportamento, così come la loro corretta interpretazione. Quindi è importante che i proprietari di animali da compagnia collaborino con il clinico e sia educati a farlo in maniera corretta. E’ ovvio che non tutti i proprietari sono culturalmente adeguati o capaci di tenere sotto controllo l’emotività che, il timore di non accorgersi della sofferenza del proprio cane, normalmente suscita. Tuttavia qualsiasi proprietario può fornire informazioni importanti. La valutazione del dolore nel cane e quindi anche le scale di valutazione del dolore, si basa principalmente sull’osservazione del loro comportamento, con particolare attenzione a particolari atteggiamenti, il livello di attività, la postura e locomozione, il grooming, la vocalizzazione, così come il sottrarsi da certe manipolazioni o giochi proposte dal proprietario.

In generale, i cani mostrano tre diversi tipi di cambiamenti comportamentali in risposta al dolore, a seconda se il dolore è acuto, sub-acuto (o persistente) o cronico. In condizioni di dolore acuto, i cani di solito mostrano reazioni di rifiuto o fuga, la cui forza aumenta con la gravità dello stimolo doloroso. La vocalizzazione può comparire nei casi più gravi, così come le improvvise aggressioni non sono infrequenti, soprattutto quando i cani sono colti di sorpresa dallo stimolo doloroso. La vocalizzazione può verificarsi come abbaiamento, ringhio, guaito o gemito o qualsiasi combinazione delle precedenti, mentre la reazione aggressiva alla palpazione della parte del corpo colpita, può verificarsi come un tentativo di mordere o attaccare animali, umani o altro. Come il dolore diventa più persistente i cani di solito cominciano a mostrare un comportamento più protettivo, al fine di ridurre al minimo qualsiasi stimolo della zona dolorosa. In questa condizione, molti segni possono essere indicatori di dolore. Ci possono essere i segni di vocalizzazione, o lamentazione, che spesso interrompe quando il cane è confortato. Comportamenti di protezione possono comprendere frequenti cambi di posizione del corpo, al fine di trovare la posizione che provochi il minor disagio, così come la riluttanza ad usare la parte dolorosa del corpo, con conseguente postura o andatura anomala o inusuale. Ad esempio, un cane con un arto dolente può zoppicare in modo da ridurre al minimo il peso sulla parte colpita, mentre i cani con dolore addominale o toracico possono essere riluttanti a coricarsi e possono stare in piedi per ore fino ad essere esausti. Variazioni del livello di attività possono apparire anche come irrequietezza, agitazione e sonno disturbato o, all'altro estremo dello spettro, come letargia, debolezza e rifiuto a muoversi e giocare. Comportamenti “auto-consapevolezza”, come proteggere, leccare, masticare o guardare la zona del corpo dolente sono sempre indicatori affidabili di dolore.

La questione di come riconoscere il dolore nei cani diventa più difficile quando si parla di dolore cronico. Quest'ultimo è definito comunemente come il dolore che dura per più di 3 mesi, ma questo riferimento temporale è improprio e fuorviante. Più precisamente il dolore cronico è un dolore non associato ad un danno evidente esterno, ma nasce piuttosto da condizioni patologiche del sistema nocicettoriale ed ha un impatto sulla qualità della vita del soggetto. In questo caso i segni comportamentali di dolore sono in genere sottili e non specifici, insidiosi nel loro esordio e spesso passano inosservati dal proprietario o scambiati per segni di normale invecchiamento. Depressione, irritabilità, diminuzione dell'appetito, livello di attività ridotta, il mancato o diminuito grooming, disturbi del sonno, mancanza di reazione agli stimoli ambientali e la scarsa interazione con il proprietario possono essere tutti segni di dolore cronico nei cani, che nelle fasi più avanzate culminano in letargia, perdita di peso, atrofia muscolare e quindi scadimento delle condizioni fisiche generali. A causa della natura debilitante del dolore cronico, è importante che i proprietari di animali domestici imparino a riconoscere il dolore nei cani al fine di evitare le conseguenze devastanti di questa sindrome, sulla qualità della vita dei loro animali domestici. Ed è anche importante che i proprietari tengano traccia di eventuali variazioni comportamentali sospette nei loro cani, perché questi possono manifestarsi nell’ambiente casalingo e invece risultare mascherati da comportamenti fuorvianti durante la routine delle visite veterinarie.

Altri segni tipici di dolore cronico includono una soglia del dolore abbassata e del conseguente aumento delle risposte agli stimoli dolorosi (iperalgesia), così come il verificarsi di reazioni a stimoli dolorosi che normalmente non provocano dolore (allodinia). La presenza d’iperalgesia e/o allodinia è conseguente a profonde alterazioni del sistema nocicettivo a livello periferico o centrale. Questi meccanismi dolorifici possono essere presenti nel dolore acuto, come stati transitori o in tipologie dolorifiche disnocicettive anche per periodi prolungati. Entrambe queste alterazioni del sistema nocicettivo, se presenti determinano dei quadri clinici particolari, sia per localizzazione delle aree corporee interessate sia per le caratteristiche peculiari del dolore manifestato dal cane. Una delle caratteristiche salienti di queste situazioni è che non si risolvono con l’uso di antinfiammatori non steroidei od oppioidi. Dolori  persistenti che non rispondano ai trattamenti comuni dovrebbero essere riferiti in centri dove esistano persone che per competenza ed esperienza siano in grado di istituire una terapia appropriata.

VALUTAZIONE DEL DOLORE NEL GATTO
Nel gatto, inoltre, esistono particolarità fisiologiche che predispongono all’insorgenza anche di gravi complicazioni in caso di mancato trattamento del dolore. Particolarmente pericolosa è l’evenienza in cui l’inadeguato controllo del dolore nel gatto esiti in una notevole riduzione dell’alimentazione. La limitata capacità del gatto di accumulare glicogeno come riserva a livello epatico è responsabile della precoce e massiva lipomobilizzazione che si osserva in questa specie in seguito a 2-3 giorni di digiuno (per paragone, nel cane la lipomobilizzazione comincia a divenire significativa dopo 7-9 giorni). Il risultato è l’instaurarsi rapido di lipidosi epatica, che può compromettere la funzione epatica. Il gatto, inoltre, andrà incontro ad una progressiva depressione che rende improbabile il ritorno ad un’alimentazione adeguata. In caso di dolore e stress protratti, come per esempio in animali ricoverati per settimane o in terapia intensiva, non è infrequente osservare nel gatto l’instaurarsi di una progressiva anemia, probabilmente di origine immunomediata che, in alcuni casi, rende necessaria la somministrazione di emoderivati, con il relativo aumento della morbilità e del costo dell’ospedalizzazione. La riduzione della funzione del sistema immunitario in seguito a stress/dolore cronico e anoressia aumenta, inoltre, il rischio di patologie a carattere infettivo. È ovvio che il trattamento del dolore in questa specie, come in altre, è giustificato non solo da ragioni etiche, ma anche da un possibile impatto sulla morbilità e mortalità perioperatoria e, non da ultimo, da fattori economici.

L’approccio più semplicistico al trattamento del dolore nel gatto è quello di tipo antropomorfico. Considerata la similitudine tra il sistema nervoso del gatto e quello umano e la notevole complessità comportamentale del gatto, si assume che le procedure che determinano dolore nell’uomo lo facciano anche nel gatto e che l’intensità del dolore sia simile nelle due specie in seguito a procedure paragonabili. Di conseguenza, considerata la similitudine fisiologica e la simile risposta alla maggior parte dei farmaci, il trattamento del dolore con protocolli simili è giustificato. Il vantaggio di tale approccio è rappresentato dal fatto che si dia per scontata la presenza di dolore in seguito ad alcune procedure e che si instauri un trattamento. L’enorme svantaggio consiste nel fatto che molte delle affermazioni su cui si basa tale approccio sono in realtà approssimative, nel migliore dei casi. Non esiste dubbio che il gatto provi dolore inseguito a procedure che, eseguite in esseri umani, sono dolorose e, probabilmente, esiste un ottimo grado di correlazione tra l’intensità del dolore nelle due specie. Il problema consiste nel fatto che, mentre ciò probabilmente vale con un buongrado di approssimazione per il dolore acuto, lo stesso non si può dire nel caso di dolore cronico, ove intervengono altri fattori, non ultimo quello psicologico e l’interazione con ambiente e simili. Relegando questo approccio al trattamento del dolore acuto, tuttavia, esiste ancora la possibilità di commettere errori grossolani nel momento in cui si utilizzino simili protocolli analgesici nelle due specie. Tipico è l’esempio dell’utilizzo del paracetamolo, ampiamente impiegato in medicina umana per il trattamento del dolore moderato, spesso in associazione con oppiodi, e sicuramente non indicato come prima scelta nel gatto. La somministrazione di farmaci basata sulla farmacocinetica stabilita in altre specie presenta, inoltre, almeno altri due rischi: l’inefficacia, con i conseguenti picchi di dolore seguiti da analgesia, e il sovradosaggio, che può determinare effetti collaterali quali sedazione eccessiva o depressione ventilatoria o anoressia.

Egualmente inefficace è il tentativo di accertare la presenza e misurare l’intensità del dolore mediante la valutazione di parametri fisiologici quali frequenza cardiaca, e respiratoria, pressione arteriosa, temperatura, produzione di urina e feci. Nemmeno la misurazione di marker quali cortisolo, catecolamine è specifica, poiché in tutti i casi le variabili misurate sono associate a condizioni di stress e non di dolore. Nel caso del gatto, la semplice ospedalizzazione in un ambiente non familiare e talvolta ostile (presenza di cani ed esseri umani sconosciuti) è in grado di determinare significative alterazioni di tali parametri.

Un sistema di valutazione del dolore abbastanza studiato nel gatto è la variazione della risposta a stimoli pressori e termici nella zona interessata dal trauma. Utilizzando sistemi appositamente progettati, viene esercitata una pressione progressiva (mediante manicotto gonfiabile) o la temperatura viene localmente aumentata (mediante resistenze) al di sopra della parte traumatizzata. Viene registrata quindi la soglia termica o pressoria che determina una risposta, di solito di allontanamento dallo stimolo. Sono noti valori termici e pressori normali per il gatto, che quindi possono essere utilizzati come termine di paragone. Alternativamente, una regione distante del corpo può fungere da controllo, tuttavia è stato ipotizzato che la diminuzione della soglia termica e pressoria potrebbe non essere limitato esclusivamente alla parte traumatizzata, soprattutto in caso di dolore cronico. Tale sistema, abbastanza oggettivo ed utilizzato per comparare l’efficacia di differenti farmaci analgesici non è, tuttavia, facilmente utilizzabile nella pratica clinica, non solo a causa del costo dell’apparecchiatura, ma soprattutto poiché il gatto deve essere addestrato a non reagire alla presenza dell’apparato.

La valutazione di aspetti del comportamento sembra, invece, una metodica più promettente, anche se il gatto presenta alcune peculiarità che, in alcuni casi, rendono difficile valutare il dolore. Tale metodica si basa sull’identificazione di comportamenti o pattern comportamentali la cui espressione è strettamente associata alla presenza di dolore, oppure l’assenza di pattern comportamentali normali.  Condizione indispensabile per poter valutare alterazioni del comportamento di un gatto è l’idoneità dell’ambiente. In un ambiente ostile, il gatto non manifesterà comportamenti normali e cercherà di mascherare eventuali segni di dolore. Tale ambiente, inoltre, determinerà una significativa stress response, che rappresenta un meccanismo fisiologico di adattamento ad un ambiente ostile. Il gatto dovrebbe essere ospedalizzato separatamente da cani, in un ambiente dedicato. La gabbia, di dimensioni adeguata, dovrà consentire di posizionare una lettiera igienica, ma allo stesso tempo una piccola cuccia ove il gatto possa riposare, oltre che ciotole per cibo e acqua. Ovviamente la gabbia deve essere di dimensioni adeguate tali da evitare l’eccessiva vicinanza di cibo e cuccia con la lettiera. In caso di ospedalizzazione prolungata e quando vi sia spazio disponibile, una gabbia su due piani con dei giochi consente al gatto di manifestare comportamenti vicini a quelli normali. Nella valutazione del gatto è molto importante avere informazioni dettagliate su quello che è il comportamento nell’ambiente da cui proviene. Le probabilità di poter correttamente identificare pattern comportamentali indice di dolore in un gatto ospedalizzato sono probabilmente maggiori nel caso in cui l’ambiente naturale del gatto sia quello domestico, piuttosto che nel caso di un gatto semi-selvatico o particolarmente aggressivo. Utili sono gli spray a base di ferormoni, che possono facilitare la familiarizzazione del gatto con il nuovo ambiente. In un ambiente adeguato e in condizioni di assenza di stress e dolore, il gatto dovrebbe avere un atteggiamento amichevole nei confronti degli operatori, per esempio si avvicinerà alla parte anteriore della gabbia non appena avverte la presenza di un umano nei paraggi. Quando gli viene offerto del cibo si alimenterà prontamente e , se stimolato con giochi, dimostrerà un atteggiamento dinamico ed interattivo. Ovviamente ciò non consente di trarre alcuna conclusione sul possibile atteggiamento del gatto qualora si decida, per esempio, di posizionare una cannula endovenosa oppure prelevare un campione di sangue! In quel caso anche animali non stressati e senza dolore potrebbero manifestare un intenso comportamento difensivo, anche se, a mio parere, molto dipende dalla famigliarità degli operatori nei confronti di questa specie.

Alcuni comportamenti che possono facilmente esser identificati e che indicano in modo abbastanza specifico la presenza di dolore sono il mancato uso di parti del corpo (zoppia, posture scorrette che alterano l’equilibrio del peso) e atteggiamenti protettivi (posizione di preghiera, postura acquattata con i gomiti divaricati, immobilità). Anche il leccamento continuo dell’area, magari a scapito del resto del corpo deve far sorgere il sospetto di presenza di dolore. La vocalizzazione non è un comune mezzo per comunicare il dolore nel gatto, a differenza che nel cane. Indicativa può essere, invece, l’espressione facciale che in caso di dolore mostra occhi socchiusi e sguardo spento. In caso di stress gli occhi tendono ad essere aperti, con le pupille dilatate e lo sguardo attento. Lo stiramento degli arti quando viene toccato l’addome può indicare presenza di lieve dolore addominale, ma può anche essere un comportamento normale. Se provocato nella parte dolente, il gatto può ringhiare, soffiare o vocalizzare. In alcuni casi, ma non frequentemente, può dimostrare aggressività qualora si tenti di avvicinarlo e toccarlo. In caso di dolore moderato, il gatto tende a nascondersi nel fondo della gabbia e sotto la coperta, evitando la parte anteriore, esposta, della gabbia. Tale comportamento, tuttavia, può essere indotto anche dal solo stress (cani che abbaiano, ambiente rumoroso), come anche il rifugiarsi nella lettiera. In generale, un gatto con dolore da moderato a grave, assume un atteggiamento passivo ed un aspetto negletto. Il pelo arruffato indica la mancanza della normale cura del pelo e quindi un comportamento anormale, la cui ragione potrebbe essere un atteggiamento apatico oppure l’impossibilità di eseguire i movimenti necessari per effettuare l’azione. L’assunzione di cibo ed acqua è ridotta ed il gatto non manifesta interesse nei confronti del cibo, anche se tentato con alimenti altamente appetibili, e di fronte alla ciotola rimarrà nel fondo della gabbia. Il gatto, inoltre, eviterà, se possibile, di interagire con gli esseri umani ed anche con il proprietario stesso. Rifiuterà di giocare e, se sollevato, potrà manifestare un atteggiamento completamente passivo con tono muscolare flaccido, oppure divenire aggressivo. Un atteggiamento assunto in caso di dolore alla faccia o testa, ma anche segno di profonda prostrazione, è la postura acquattata con la testa piegata a 90° sul collo che guarda il pavimento della gabbia. In alcuni casi il gatto può anche tremare. In caso di dolore estremo il gatto può assumere un atteggiamento completamente apatico, e non reagire nemmeno alla manipolazione della parte traumatizzata, rifiutando di alimentarsi e di bere.

Durante il risveglio dall’anestesia dopo un intervento chirurgico, può essere molto difficile valutare l’adeguatezza dell’analgesia, distinguendo la presenza di dolore dalle “normali” manifestazioni di un pessimo risveglio. In questo il giudizio dipende principalmente dall’esperienza dell’anestesista, che dovrà soppesare l’entità del trauma in relazione agli analgesici somministrati ed il temperamento del gatto.

In tutti i casi dubbi, il miglior sistema per escludere la presenza di dolore consiste nella somministrazione di un analgesico. Nel caso in cui il comportamento del gatto ritorni nella norma, è plausibile assumere che fosse presente dolore.

Nonostante sia ben riconosciuta la capacità del gatto di percepire il dolore e siano state ben codificate molte delle manifestazioni correlate, la medicina veterinaria ha dedicato relativamente poca attenzione alla codificazione di un sistema di valutazione del dolore oggettivo. La valutazione soggettiva da parte dell’operatore rimane ancora lo standard in questa specie, nonostante alcuni gruppi di ricerca stiano lavorando per adattare sistemi oggettivi di valutazione del dolore nel cane in modo che possano essere utilizzati nella specie felina.

Considerato l’ostacolo rappresentato dalla soggettività della valutazione del dolore, per una corretta gestione dell’analgesia è necessario soddisfare alcune condizioni:

  • conoscere il comportamento normale del gatto (ottenendo l’informazione, se necessario, dal proprietario durante l’anamnesi)
  • evitare di creare condizioni stressanti durante il ricovero
  • valutare il benessere del paziente ad intervalli regolari (ad esempio ogni 4-6 ore), anche se sono stati somministrati analgesici con presupposta durata d’azione maggiore
  • se possibile, ricorrere al giudizio di almeno due operatori indipendenti e fare in modo che siano sempre essi a valutare la condizione del paziente
  • la valutazione del comportamento richiede tempo, pertanto non può essere effettuata semplicemente osservando il paziente dall’esterno della gabbia per pochi secondi
  • osservare il comportamento del paziente da lontano, quindi avvicinarsi alla gabbia e valutare la risposta a tale stimolo. Successivamente aprire la gabbia ed interagire con il paziente prima di emettere un giudizio
  • considerare l’assunzione di cibo e liquidi, la condizione del pelo e l’uso della lettierain casi dubbi, considerare che è improbabile che il dolore venga manifestato con una singola alterazione comportamentale, mentre è più probabile che vengano manifestati molteplici alterazioni del comportamento.
  • se il dubbio permane, somministrare una dose test di analgesico e ripetere la valutazione lasciando al farmaco il tempo di agire in modo adeguato (circa 30 minuti dopo somministrazione IM, per esempio).

Per quanto riguarda la valutazione del dolore acuto nel gatto, il sistema proposto dall’associazione 4-a-Vet è interessante, poiché valuta la presenza di comportamenti anormali, che potrebbero essere legati alla presenza di dolore.


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