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Sarcoma iniezione-indotto felino (SIIF)

  • Disciplina: Oncologia
  • Specie: Gatto

I sarcomi iniezione-indotti felini (SIIF) sono neoplasie maligne di origine mesenchimale che insorgono nella sede tipicamente utilizzata per l’esecuzione di iniezioni sottocutanee o intramuscolari. Sono caratterizzati da un basso potere metastatico ma da una notevole tendenza alla recidiva locale se non asportati con margine laterale e profondo molto ampio. Una loro caratteristica peculiare è il tempo di latenza anche di mesi o anni38,46 tra l’esecuzione dell’iniezione e lo sviluppo del tumore, seguito però da una rapidità di crescita molto elevata, tanto da raggiungere dimensioni di alcuni centimetri nel giro di poche settimane.

La patologia è stata descritta per la prima volta negli Stati Uniti da due patologi che, con una lettera all’editore, segnalavano l’aumento dell’incidenza della diagnosi di fibrosarcoma nel gatto da loro riscontrata negli ultimi anni21. Inizialmente tale aumento è stato imputato all’obbligo di vaccinazione contro la rabbia e alla contemporanea introduzione del vaccino contro la leucemia felina, pertanto questa nuova forma tumorale è diventata universalmente nota come “sarcoma vaccino-indotto”, con grande clamore e preoccupazione dell’industria farmaceutica.

Al fine di indagare in modo più approfondito sull’eziologia e per stabilire delle linee-guida per l’inoculazione sottocutanea di farmaci nel gatto, nonché per definire la patogenesi e trovare una terapia adeguata e sensibilizzare i veterinari sul problema, nel 1996 si è costituita, sempre negli USA, una task force (Vaccine-Associated Feline Sarcoma Task Force – VAFSTF) composta dai maggiori esperti oncologi veterinari (AVMA)1,51. In seguito agli studi condotti negli anni successivi si è giunti alla conclusione che non solo i vaccini, ma qualsiasi sostanza inoculata per via sottocutanea o intramuscolare e in grado di indurre una risposta infiammatoria può portare alla formazione del tumore in soggetti predisposti. Per questo motivo si è deciso di rinominare il tumore “sarcoma iniezione-indotto felino”, denominazione con la quale è ormai riconosciuto. Il termine “sarcoma” e non fibrosarcoma è legato al fatto che sono numerosi gli istotitpi riconducibili alla stessa patogenesi, sebbene il fibrosarcoma sia la forma più frequente.

EZIOLOGIA E PATOGENESI
Le segnalazioni iniziali di Hendrick e Goldsmith 21 e il successivo lavoro di Kass et al. (1993) avevano imputato l’aumento dei sarcomi e il loro sviluppo in animali mediamente più giovani (media 6-7 anni) rispetto a quanto fino ad allora riportato, alla vaccinazione contro rabbia e leucemia felina, e più probabilmente all’adiuvante contenuto in tali prodotti. Inoltre, il rischio di sviluppare il tumore aumentava proporzionalmente al numero di inoculazioni eseguite, passando dal 50% di rischio in più dopo una singola iniezione al 175% in più in seguito a 3 o più inoculazioni nella stessa sede. L’iniziale incriminazione dell’adiuvante era avvalorata dal ritrovamento sui preparati istologici di materiale amorfo bruno-grigiastro in corrispondenza del centro necrotico della lesione e nei macrofagi che lo circondavano22,23. Tale sostanza poteva attivare un processo infiammatorio da corpo estraneo che nel tempo e in soggetti predisposti portava alla trasformazione neoplastica. Attualmente si ritiene che non solo l’idrossido di alluminio impiegato come adiuvante di molti vaccini, ma qualsiasi sostanza in grado di stimolare una risposta infiammatoria cronica possa indurre la formazione del tumore. Ne sono la prova i sarcomi riscontrati in soggetti mai vaccinati ma trattati con antibiotici o corticosteroidi a lento rilascio29, nel sito di inoculo di lufenuron 17, di materiale da sutura non riassorbibile7 e, forse, di un microchip12.

L’eziologia è comunque multifattoriale, dal momento che lo stimolo infiammatorio da solo, seppur importante, non è sufficiente a determinare la comparsa del tumore, come dimostrato dalla bassa incidenza del SII nella popolazione felina. Sebbene molto variabili a seconda dell’autore, i dati sulla frequenza del tumore variano da1/1000-1/10.00016,33 a 0,63/10.000 gatti vaccinati19. In Europa non vi sono statistiche certe, ma è probabile che, almeno in alcuni Stati, l’incidenza sia maggiore. Ai fattori fisici si aggiungono quelli genetici, quali l’azione di citochine come FGF-b e TGF-α39, coinvolte nella promozione della trasformazione maligna mediante lo stimolo alla moltiplicazione e alla migrazione delle cellule endoteliali e l’attivazione della sintesi del DNA nelle cellule mesenchimali. Fattori di crescita come il PDGF indotti dall’infiammazione cronica, assieme alla mutazione o all’iper-espressione di oncogeni e geni oncosoppressori, possono stimolare la proliferazione di fibroblasti e miofibroblasti24. Tali meccanismi patogenetici sono descritti anche in altre specie animali, quali il pollo36 e l’uomo40 o nel gatto per lo sviluppo dei sarcomi oculari14.

Infine, anche il sistema immunitario può essere implicato nel processo di trasformazione maligna, sebbene nel gatto siano ancora pochi i dati sui meccanismi di evasione del tumore dall’immunosorveglianza8,27; i risultati preliminari dell’immunoterapia del SIIF appaiono comunque incoraggianti20,31. Fattori relativi alla modalità di somministrazione (dimensioni dell’ago, massaggio della parte, manualità nella somministrazione, temperatura del prodotto inoculato, somministrazione sottocutanea o intramuscolare) non sembrano invece influenzare la comparsa del tumore, ad accezione della bassa temperatura della sostanza iniettata29,34. Anche i liquidi fisiologici quali la soluzione fisiologica non hanno prodotto alcun effetto43. Nessuna correlazione è inoltre stata osservata con la positività per i virus della leucemia o dell’immunodeficienza felina.

DIAGNOSI
 La diagnosi di SIIF è relativamente semplice e si basa principalmente su segni clinici, raccolta di un’anamnesi accurata e poche indagini strumentali, quali la biopsia ad ago sottile ed eventualmente la biopsia incisionale. Completano la stadiazione l’esame radiografico del torace o, meglio, la TC del torace e della lesione, mentre l’esame emato-chimico completo e l’esecuzione dei test per FIV e FeLV forniscono indicazioni sullo stato generale dell’animale. L’età media di insorgenza del tumore è più bassa rispetto a quella di gatti affetti da sarcomi non indotti da iniezione ed è di circa 6-7 anni, con un secondo picco intorno ai 10-11. Generalmente i proprietari riportano la crescita improvvisa e rapida della massa, che spesso si trova in regione interscapolare o nelle porzioni laterali del torace o del collo, ma che in soggetti poco trattabili (in cui le iniezioni sono fatte in modo più casuale) può svilupparsi anche nella regione glutea o della groppa. La lesione può apparire come massa ben circoscritta, di consistenza dura o duro-elastica, adesa ai piani profondi, di solito ricoperta di pelo e non dolente né pruriginosa (Fig. 1a e 1b).

In alcuni casi, però, si tratta di forme più disseminate, granulose, mal definite (Fig. 2).

SIIF 2

L’anamnesi può riportare l’esecuzione di un vaccino o di altra inoculazione avvenuta in media da 1 a 2-3 mesi prima del riscontro del problema, ma in alcuni casi l’ultima inoculazione può risalire anche a parecchi anni prima della visita. In generale, secondo le regole della VAFSTF1,51, vige la regola del 3-2-1: ogni nodulo che compare entro 1 mese dall’iniezione, raggiunge dimensioni ≥ a 2 cm e persiste per più di 3 mesi deve essere sottoposto a biopsia. L’esecuzione della biopsia ad ago sottile permette di ottenere la diagnosi di neoplasia mesenchimale nel 50% dei casi, dal momento che si tratta di tumori poco cellulari e spesso cistici (Fig. 3), ma anche la descrizione della presenza di un processo infiammatorio con numerosi linfociti e macrofagi non deve escludere completamente la diagnosi di neoplasia. Importante è quindi la scelta del punto in cui eseguire la biopsia, mentre l’invio al laboratorio del liquido prelevato è inutile. Nei casi dubbi si può ricorrere alla biopsia incisionale e all’esame istologico, che dirime ogni dubbio, avendo cura di scegliere un punto per il prelievo che possa essere facilmente incluso nella successiva asportazione della massa senza dover aumentare l’estensione della chirurgia, evitando però il centro, spesso necrotico. La biopsia incisionale mediante asportazione di un cuneo di tessuto di dimensioni adeguate è preferibile rispetto a quella con tru-cut o punch, poiché il tessuto è piuttosto eterogeneo e un campione di dimensioni ridotte può risultare non diagnostico o esitare in una risposta di pannicolite o granuloma.

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
Una volta accertata la diagnosi, al fine di determinare la possibilità di escissione completa del tumore è di estrema utilità l’esecuzione di una TC (o RMN) della lesione e del torace per la ricerca di metastasi. La natura infiltrativa dei SIIF, infatti, fa sì che spesso quello che si osserva e si percepisce macroscopicamente non sia che la “punta dell’iceberg” del problema, mentre il mezzo di contrasto inoculato durante la TC permette di evidenziare anche microscopiche aree di infiltrazione lontane dalla massa primaria (Fig. 4). La corretta pianificazione della chirurgia basata sulla reale estensione del tumore è quindi determinante ai fini della cura, dal momento che il tasso di recidiva locale attualmente riportato può arrivare al 45% anche in seguito ad un corretto approccio chirurgico o multimodale9,11,37. L’esame ecografico dell’addome può essere indicato se il tumore è localizzato nelle porzioni caudali del corpo, mentre l’esame radiografico del torace per la ricerca delle metastasi almeno nelle due proiezioni latero-laterali va sempre eseguito in caso di non esecuzione della TC.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Solitamente la diagnosi è semplice e piuttosto immediata, anche perché la diagnosi differenziale si pone solo con il granuloma o altre neoplasie epiteliali, quali il basalioma (spesso cistico nel gatto), che però hanno un andamento più lento.

TERAPIA
È ormai riconosciuto che le maggiori possibilità di cura si ottengono con un approccio multimodale alla patologia, in cui l’associazione di chirurgia ad ampia base e radioterapia rappresentano i punti cardine per il controllo locale.

CHIRURGIA
A tutt’oggi rappresenta il fulcro del trattamento del SIIF. Sulla base dei risultati della TC, l’escissione deve comprendere un margine di 3-5 cm di tessuto macroscopicamente sano lateralmente al tumore e almeno un piano fasciale al di sotto. A causa della localizzazione spesso interscapolare, queste indicazioni non sono sempre agevoli da seguire e la ricostruzione può inizialmente apparire difficile, ma la notevole elasticità cutanea del gatto consente nella maggior parte dei casi di non dover ricorrere a tecniche di chirurgia plastica complesse (Figg. 5a e 5b).

Può invece essere necessario asportare processi spinosi vertebrali (Fig. 6) o eseguire scapulectomie parziali (Fig. 7a e 7b) o totali (Fig. 8a e 8b), asportare parte della parete toracica (Fig. 9) o eseguire l’amputazione di un arto (Fig. 10a e  10b). L’importante è una buona ricostruzione dei piani muscolari e cutaneo, obliterando tutti gli spazi morti, la fine di evitare la formazione di sieromi, una delle principali complicanze dell’intervento. Funzionalmente la ripresa è rapida e completa anche nei casi più aggressivi e le uniche complicanze osservate, oltre al sieroma, sono la deiscenza più o meno estesa della ferita, soprattutto nei punti di maggior tensione (Fig. 11a, Fig. 11b, Fig. 11c) e la persistenza del prurito, talvolta anche per mesi dopo l’intervento chirurgico. Il sieroma può essere gestito mediante l’applicazione di un bendaggio compressivo (Fig. 12) mantenuto per 1-2 settimane e con l’impiego di antiinfiammatori per alcuni giorni, mentre la deiscenza spesso guarisce per seconda intenzione, senza dover ricorrere alla revisione chirurgica. In tutti i casi è fondamentale una buona analgesia post-operatoria e nei primi giorni successivi all’intervento, anche mediante l’applicazione locale di analgesici mediante cateteri di piccole dimensioni applicati in sede chirurgica.

Tutto il materiale asportato deve essere inviato al laboratorio per la conferma della diagnosi e la valutazione dei margini di escissione, dopo averli evidenziati mediante appositi coloranti o l’applicazione di punti di sutura a pieno spessore sul campione, in modo da renderlo orientabile per il patologo. Le informazioni ottenute da tale esame sono utili sia ai fini prognostici, sia per la pianificazione di altre terapie da adottare (radioterapia, chemioterapia).

Sebbene molto indicativa, però, l’assenza di infiltrazione neoplastica ai margini della lesione non è sempre associata all’assenza di recidiva locale, come segnalato da Kobayashi e co-autori (2002), che hanno osservato il 42% di recidiva anche nei casi che presentavano margini non infiltrati all’esame istologico. Questo dato è stato recentemente confermato in un lavoro di Giudice et al. (2009) nel quale si riporta che, sebbene i gatti con asportazione incompleta del tumore abbiano una probabilità 10 volte maggiore di sviluppare la recidiva locale, questa si è avuta anche nel 19% dei soggetti con margini puliti. La spiegazione risiede probabilmente nella particolare patogenesi del tumore, legata alla trasformazione neoplastica di aree soggette ad uno stimolo infiammatorio cronico, che può persistere anche in zone lontane ma contigue al tumore ed evolvere nel tempo; nel contempo può evidenziare la necessità di affinare le tecniche per la valutazione dei margini di escissione, non ancora standardizzate in medicina veterinaria.

RADIOTERAPIA
Assieme alla chirurgia costituisce la base della terapia multimodale del SIIF. Le attuali apparecchiature per radioterapia consentono di ottenere buoni risultati sia quando il trattamento è eseguito in modalità adiuvante sia neoadiuvante, senza per contro causare effetti collaterali gravi. Entrambe le procedure hanno vantaggi e svantaggi: la radioterapia adiuvante (preferita dai chirurghi) consente di effettuare un intervento chirurgico su tessuto “sano”, con minori rischi di deiscenza legata alle alterazioni della cute indotte dalla radioterapia stessa, per contro l’area da irradiare è maggiore, dovendo comprendere un margine di alcuni centimetri oltre la cicatrice chirurgica, che a sua volta prevede un margine di tessuto “normale” attorno alla lesione. La radioterapia neoadiuvante, invece, consente di irradiare un’area minore, ma implica un maggior rischio di deiscenza della ferita chirurgica successiva. Da un punto di vista oncologico, invece, le due alternative non presentano differenze scientificamente dimostrate. Recenti lavori riportano un tasso di recidiva locale in seguito a trattamento con chirurgia e radioterapia pari al 41-45%, mentre il tempo libero da malattia varia da 398 a 810 giorni e la sopravvivenza totale da 520 a 1290 giorni. Le metastasi sono state osservate nel 12-21% dei soggetti 9,11,15,32,37.

CHEMIOTERAPIA
Attualmente non esistono studi che abbiano valutato la reale efficacia della chemioterapia da sola nel controllo dei SIIF. Il suo impiego è volto principalmente al controllo delle metastasi, ma può anche essere considerata nell’ottica di meglio delimitare il campo chirurgico, se usata in un contesto neoadiuvante 35, senza per questo, però, ridurre le dimensioni dell’area da asportare, oppure per tentare di eliminare le cellule neoplastiche residue dopo una chirurgia che, seppur aggressiva, ha portato a margini infiltrati, quando la radioterapia non è accettata dai proprietari. Un effetto prognostico positivo della chemioterapia in associazione a chirurgia, con o senza radioterapia, è stato riportato da diversi autori5,15,32,41. I farmaci più comunemente utilizzati sono doxorubicina, carboplatino e ciclofosfamide, da soli o in combinazione tra loro. L’impiego degli alcaloidi della vinca non ha sortito effetti positivi, che invece sono stati dimostrati dall’ifosfamide, dotata però di maggior mielotossicità e che richiede tempi di somministrazione più lunghi 42.

Doxorubicina: antraciclina. Somministrata per via rigorosamente endovenosa, data la sua notevole istolesività, alla dose di 1 mg/kg o 25 mg/m2 ogni 3 settimane per 4-5 volte nel gatto. La somministrazione va eseguita in circa 15-30 minuti. Nel gatto è dotata di buona tollerabilità; gli effetti collaterali sono prevalentemente legati alla mielosoppressione, evidenziabile circa 7-10 giorni dopo il trattamento, e dalla nefrotossicità (per questo motivo non va somministrata in soggetti che già manifestino segni di sofferenza renale). Descritta anche la perdita delle vibrisse e raramente segni gastroenterici quali inappetenza. La tossicità cardiaca da accumulo descritta nel cane è estremamenterara nel gatto, ma viene comunque consigliato di non superare la dose totale di 180-240 mg/m2. Può essere somministrata in monochemioterapia o associata a ciclofosfamide o carboplatino.

Ciclofosfamide: agente alchilante di uso comune in medicina veterinaria, da sola o associata a doxorubicina per il trattamento del SIIF. Può essere impiegata per os (50 mg/m2 per 4 giorni la settimana, aggiustando la dose per non spezzare le compresse) al mattino, o per via endovenosa (250-300 mg/m2 ogni 3 settimane). Può dare mielosoppressione (nadir a 7-14 giorni), inappetenza e sintomi gastroenterici, nefrotossicità, perdita delle vibrisse, raramente cistite emorragica nel gatto, che però implica la cessazione della somministrazione.

Carboplatino: a differenza del cisplatino può essere impiegato nel gatto, alla dose di 180-200 mg/m2 per via endovenosa ogni 3 settimane, da solo o in associazione alla doxorubicina. È generalmente ben tollerato, ma può essere mielotossico (nadir a 17-21 giorni dalla somministrazione); raramente nefrotossico, può talvolta provocare abbattimento e anoressia.

ALTRO
Recentemente è allo studio in medicina veterinaria l’impiego degli inibitori delle tirosin-chinasi per il trattamento delle neoplasie maligne nelle quali è dimostrata l’espressione anomala delle proteine che le esprimono o la mutazione dei geni che le rappresentano. Tra queste vi sono KIT e PDGF (Platelet Derived Growth Factor); quest’ultimo e il suo recettore sono coinvolti nella patogenesi del SIIF e uno studio del 2004 ha dimostrato che l’imatinib mesilato, un inibitore delle tirosin-chinasi è in grado di bloccare il recettore in colture cellulari di SIIF e di inibire lo sviluppo del tumore in un modello murino 30. Non vi sono al momento studi clinici che dimostrino l’efficacia dell’inibitore in vivo. Nel 2007 è stato pubblicato uno studio volto alla valutazione della sicurezza dell’interferone-ω nel trattamento del SIIF20, purtroppo però mancano dati consistenti sull’efficacia clinica del trattamento. Sebbene entrambi in fase ancora sperimentale, è possibile che queste ultime terapie possano in futuro diventare un utile complemento per la terapia del SIIF.

PROGNOSI
Alla luce delle attuali conoscenze la terapia multimodale basata sull’associazione di chirurgia ad ampia base e radioterapia adiuvante o neoadiuvante, con o senza l’ausilio della chemioterapia, è in grado di abbassare il tasso di recidiva locale al 41-44% a 2 anni9,37, mentre il tasso metastatico (prevalentemente al polmone) si aggira attorno al 12-24%9,11,16,25. La sopravvivenza mediana è di 23 mesi, con un tempo mediano libero da malattia di 13-19 mesi 6,9,11.

PREVENZIONE
Svolge un ruolo importante, vista l’eziologia “iatrogena” del tumore. Inizialmente le linee guida della VAFSTF, al fine di meglio chiarire la reale implicazione dei differenti tipi di inoculazione nello sviluppo della neoplasia, suggerì di somministrare il vaccino contro la Rabbia nell’arto posteriore destro (Right), quello contro la Leucemia felina nell’arto posteriore sinistro (Left) e il normale vaccino polivalente sulla spalla (FVR-CP-C). Queste indicazioni hanno in effetti dato i loro frutti, come dimostra il lavoro condotto su 392 gatti e pubblicato da Shaw et al.47 (2009), nel quale si è osservato che a partire da dicembre 1996 (anno di costituzione della VAFSTF) il numero di SIIF in aree craniali del corpo è andato progressivamente diminuendo, mentre è aumentata la frequenza nelle aree posteriori. Nel 2006 la distribuzione del tumore era approssimativamente uguale nei due settori, segno del recepimento delle linee-guida da parte di molti veterinari. Sempre sulla base di tali riscontri e senza considerare l’influenza di altre sostanze inoculate, si è potuto determinare che il vaccino contro la rabbia era responsabile del 51,7% dei casi di tumore, quello contro la leucemia del 28,6% e quello contro le più comuni forme respiratorie feline: rinotracheite (FVR), Calicivirus (C), panleucopenia (P) e Chlamydia (-C) del 19,7% dei casi. Questa informazione ribadisce la reale implicazione delle iniezioni nello sviluppo della neoplasia.

Attualmente l’indicazione è quella di eseguire qualsiasi tipo di inoculazione sottocutanea (il tumore si forma anche in seguito ad inoculazione intramuscolare, ma la diagnosi è più tardiva) in regioni facilmente aggredibili chirurgicamente, quali le porzioni laterali dell’addome, lontano dalla colonna vertebrale e dagli arti. In alternativa la porzione più distale possibile dell’arto posteriore può essere utilizzata, tenendo conto, però, che in questo caso l’escissione ad ampia base del tumore prevede l’amputazione dell’arto stesso, sicuramente efficace ma più invalidante rispetto all’asportazione di porzioni di parete addominale.

È in ogni caso sconsigliato vaccinare nuovamente i soggetti che hanno sviluppato il tumore e consigliato di ridurre ai reali casi di necessità la somministrazione per via iniettiva di qualsiasi farmaco. Infine è compito del veterinario valutare l’opportunità della profilassi vaccinale in base al reale rischio di contagio di ciascun animale. Anche su questo punto il documento finale della VAFSTF, scioltasi nel dicembre del 200451, dà ottimi parametri di valutazione, così come le informazioni sulla reale durata dell’immunità vaccinale prodotte dall’AVMA2,44,45.

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